Il ‘discorso del bagnasciuga’, l’ultimo discorso a palazzo Venezia prima che il regime crolli, è pronunciato da Benito Mussolini al Direttorio del Partito nazionale fascista il 24 giugno 1943, ma viene comunicato alla stampa e all’Eiar soltanto il 5 luglio, pochi giorni prima dello sbarco alleato in Sicilia (è la prima volta, nella storia del fascismo, che viene reso pubblico un discorso fatto ad uso interno).

Molti lo ricordano, riferendosi all’uso sbagliato dell’immagine del bagnasciuga, come un discorso ridicolo, in realtà è un discorso drammatico, che tratteggia il ritratto di un duce più o meno consapevolmente totalmente sconnesso dalla realtà.

 

«Il mio intervento - afferma - a questa riunione è dovuto al fatto ch’io voglio riferire al Direttorio sull’indirizzo che mi è stato rimesso dal segretario del Partito, e che io ho ritenuto di dover rendere di pubblica ragione. Avrei potuto farne anche a meno, come non sono state rese di pubblica ragione altre decisioni del Direttorio. Ma ho reputato fosse bene renderlo noto alla nazione, perché quelle idee non sono solo del Direttorio del Partito, ma le mie. Ed è bene che la nazione sappia che ad un certo momento la vita potrebbe stringersi con un rigore che forse taluni non sospettano ancora (…) Ci sono dei dubitosi, e non bisogna meravigliarsi. (…) A questi dubitanti bisogna dire che questa guerra ha degli sviluppi che non possono essere preveduti, sviluppi di natura politica, e non soltanto politica, che sono in gestazione. I massacri di negri a Detroit dimostrano che la famosa Carta atlantica è diventata una carta. Voleva l’eguaglianza delle razze. Si è visto che l’americano bianco ha un’insofferenza fisica, irresistibile, inguaribile per il negro. I negri stessi dopo la carneficina di Detroit, si saranno convinti che le promesse di Roosevelt sono menzognere. Chandra Bose, che non digiuna, è alle porte dell’India. Il nemico ‘deve’ giocare una carta. Ha troppo proclamato che bisogna invadere il continente. Lo dovrà tentare, questo, perché altrimenti sarebbe sconfitto prima ancora di aver combattuto. Ma questa è una carta che non si può ripetere. Fu concesso a Cesare di invadere per la seconda volta la Britannia, dopo che un naufragio gli aveva disperso i legni coi quali aveva tentato la prima invasione. E ancora bisogna distinguere tra “sbarco”, che è possibile, “penetrazione”, e, finalmente, “invasione”. È del tutto chiaro che se questo tentativo fallirà, come è mia convinzione, il nemico non avrà più altre carte da giocare per battere il Tripartito. (…) Un giorno dimostrerò che questa guerra non si poteva, non si doveva evitare, pena il nostro suicidio, pena la nostra declassazione come potenza degna di storia. (…) Oggi che il nemico si affaccia ai termini sacri della patria, i quarantasei milioni di italiani, meno trascurabili scorie, sono in potenza e in atto quarantasei milioni di combattenti, che credono nella vittoria perché credono nella forza eterna della patria».

 

Pochi giorni dopo, all’alba del 10 luglio l943, prenderà il via uno dei più grandi sbarchi anfibi compiuti nel corso del secondo conflitto mondiale: l’invasione della Sicilia, in codice denominata operazione Husky. È l’inizio del crollo del regime.

Oltre a Mussolini, in molti erano convinti che lo sbarco degli Alleati in Sicilia sarebbe stato accolto da una forte resistenza. Ne era convinto il filosofo Giovanni Gentile quando pronunciò il suo discorso agli italiani in Campidoglio il 24 giugno 1943. Ne era convinto il capo di stato maggiore generale Vittorio Ambrosio. Ne era convinto Vittorio Emanuele quando disse a Dino Grandi: “Le nostre truppe resisteranno, combatteranno”. 

La storia darà loro torto.