Prima che esplodesse la pandemia, il mondo del libro mostrava già le sue fragilità. Adesso, nel tempo del Coronavirus, è come se fosse chiamato a navigare nella tempesta su un gommone (visione pessimista), salvo invece ripararsi in una grotta di naufragio, senza molte scorte ma già lavorando per il giorno in cui tornerà il sole (visione ottimista). 

L’azione congiunta dell'epidemia e delle misure di contenimento ha privato l’editoria di quasi tutto: chiuse le librerie grandi e piccole, interrotte fiere e occasioni di incontro culturale e promozione e vendita. Restano intatte creatività e predisposizione al progetto. Ci è capitato in questi giorni di parlare con editor, scrittori, librai, editori, bibliotecari: tutti sono al lavoro. Soprattutto per domani. Editano o scrivono libri la cui uscita è stata posticipata. Si preparano, come se raccogliessero fiato e forze per il momento nel quale gli spazi pubblici torneranno a disposizione, e dovranno fare lavoro triplo, recuperando le opere “bruciate” in queste settimane e lanciando e proponendo anche le nuove. Ma sono logicamente spaventati. C’è uno scenario in cui molti, troppi, finiscono a gambe all’aria. Presìdi culturali e posti di lavoro in fumo. E bisogna fare di tutto per evitarlo. 

L’Associazione italiana editori (Aie) ha creato un Osservatorio sull’impatto del virus sul settore che aggiorna a cadenza settimanale. Ieri (24 marzo) ha diffuso le nuove cifre che espongono una situazione catastrofica per la prospettiva del 2020: “18.600 titoli pubblicati in meno in un anno – leggiamo nel comunicato dell’Aie –, 39,3 milioni di copie che non saranno stampate, 2.500 titoli che non saranno tradotti”. Per Ricardo Franco Levi, presidente dell’Associazione, il settore del libro “è una delle prime vittime economiche dell’emergenza Coronavirus, al pari del mondo dello spettacolo, del cinema e dell’audiovisivo. Siamo allo stremo – prosegue –. Per questo chiediamo al governo di intervenire per sostenere l’intera filiera con strumenti di emergenza analoghi a quelli previsti per questi settori, perché non possiamo permetterci un Paese senza teatri e senza sale cinematografiche, ma neppure senza librerie, editori, promotori, distributori di libri, traduttori”.

“Oggi – prosegue Levi – la filiera del libro rischia di essere stravolta e fortemente ridimensionata: la chiusura delle librerie fisiche ha privato gli editori del canale principale di vendita; le difficoltà di approvvigionamento delle librerie online stanno ulteriormente aggravando questa situazione. Non possiamo permettercelo: se si andasse verso la crisi più nera per il libro, il danno culturale all’intero Paese sarebbe gravissimo. Di qui la necessità di misure immediate d’emergenza e di interventi più specifici, come il credito d’imposta sulla carta, più sul medio-lungo periodo”.

Al 20 marzo, ricorda l’Aie, il 61% degli editori ha già fatto ricorso alla cassa integrazione o la sta programmando. Ma gli editori hanno “pesantemente rivisto i piani editoriali per il 2020, riducendo del 25% le novità in uscita. E l’88% degli editori esprime grande preoccupazione per la sorte delle sue attività”.

Per chi non conosce il mondo dell’editoria, è utile spiegare che, fino a oggi, non è stato sempre unito. Forse è inevitabile. Un piccolo e medio editore non ha le stesse priorità di un grande editore. Un distributore ne ha ancora altre. Fino a oggi. Ma se c’è un prima e un dopo la pandemia, nel “dopo”, che si costruisce ora, il settore dovrebbe trovare un momento di unità, un po’ come la Compagnia dell’anello che va a combattere Sauron.

Una recente dichiarazione di Marco Zapparoli, presidente di Adei, l’Associazione degli editori indipendenti, altra organizzazione di riferimento in questa storia, sembra andare in questa direzione. Leggete qui: “Come si è visto in altri momenti storici, è dalle crisi che nascono migliori strategie, migliori sinergie”. Per Zapparoli è necessario “uno sforzo di coesione”, e bisogna “dar vita al più presto a un tavolo di cui facciano parte tutte le associazioni di rappresentanza del mondo del libro, per richiedere un intervento economico, in particolare del ministero della Cultura, dell’Economia, dello Sviluppo economico”. Secondo i primi calcoli Adei serve un “intervento straordinario complessivo – tra tax credit, incentivi e interventi diretti – non inferiore a 300 milioni di euro”.

Se vogliamo guardare al silver lining, forse questa crisi aiuterà il mondo del libro a uscirne più unito e consapevole. La speranza è che un tavolo di confronto e condivisione si apra presto, e che includa anche le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori del settore, altrimenti resterà solo il bad side, per così dire, e lo sappiamo cosa succede sin dalle prime pagine di una storia così: i precari, i collaboratori esterni, i consulenti da un giorno all’altro perdono committenza e reddito, poi seguono gli altri, inclusi gli scrittori, che vedranno depauperati i loro già magri introiti. Infine, e non è un dettaglio, si tenga conto che il “popolo dell’editoria” è mediamente giovane, intelligente, creativo e che il settore ha un’alta partecipazione femminile. L’Italia non può permettersi di sacrificare questa fetta del proprio futuro.