“La maggior parte dei consensi della Afd (il partito di estrema destra che ha preso il 13,3 per cento, pari a quasi un centinaio di seggi al Bundestag, ndr) deriva dalla gestione dell'immigrazione: è questo il banco di prova per una ripresa delle forze democratiche e vale soprattutto per la sinistra: non c'è più soltanto il tema del lavoro, del welfare, del modello sociale. L'acuirsi della crisi mette in discussione con tutta evidenza la gestione del fenomeno migratorio che, lasciato così, rischia di portare consenso e voti solo ai partiti di estrema destra”. A dirlo è Fausto Durante, responsabile dell'Area politiche europee e internazionali della Cgil, intervistato da RadioArticolo1 dopo il voto tedesco. Le ipotesi in campo al momento sono due: o un governo di minoranza, oppure – molto più probabile – l'opzione Giamaica (dai colori dei tre partiti che potrebbero allearsi, ossia Cdu, Verdi e Liberali). “Qualunque sia lo scenario – osserva l'esponente della Cgil –, la prospettiva non è sicuramente agevole e porterà aspetti inediti nella vita politica tedesca. Certo, dal punto di vista democratico l'idea di Angela Merkel di voler recuperare i consensi che sono andati al partito di estrema destra è condivisibile; il punto è cercare di capire perché quelle preferenze siano andate a chi non nasconde l'ammirazione per il nazionalsocialismo e per le gesta eroiche dell'esercito tedesco. Questo rappresenta sicuramente un problema per la tenuta democratica”.

C'è un tratto comune tra i partiti di sinistra o di centrosinistra degli ultimi anni. Ieri in Germania abbiamo assistito al peggior risultato dal 1949 per il partito socialdemocratico; nelle recenti elezioni francesi i socialisti si sono ritrovati sotto il 10 per cento dopo cinque anni di governo Hollande. E anche l'elezione di qualche settimana fa in Norvegia ha visto la riconferma del centrodestra, in uno dei paesi più avanzati per cultura dello Stato sociale e socialdemocrazia europea. “Le contraddizioni della globalizzazione – osserva Durante – hanno un effetto sui ceti meno abbienti e così le ricette tradizionali della sinistra non funzionano più, anche perché in molti casi hanno semplicemente abbracciato le idee dell'avversario. L'unica eccezione è rappresentata da Jeremy Corbyn che è riuscito in qualche maniera – sebbene non sufficiente a impedire la riconferma di Theresa May – a mostrare maggiore radicalità e convinzione nell'affrontare i nodi cruciali della globalizzazione. Quella radicalità che nel Novecento ha permesso alle grandi masse di vedere un orizzonte, una forza politica in cui riconoscersi. È questo oggi il tema per la sinistra europea internazionale: proporre un'idea alternativa a quella imposta dal neoliberismo, una prospettiva di governo diverso della globalizzazione in cui profitti non vadano solo alla parte più ricca, ma siano distribuiti in maniera equa. Questo può permettere di affrontare con un atteggiamento diverso anche il tema dell'immigrazione, rispetto al quale bisognerà cominciare a pensare a ricette che tengano in conto il desiderio di sicurezza, la necessità di rassicurazione, il bisogno di accogliere e di integrare, ma anche quello di mantenere le prospettive. Su questo l'Unione europea deve cambiare passo, fino a oggi abbiamo assistito soltanto a balbettii”.

Per Michael Braun, direttore programmi della Fondazione Ebert a Roma, formare un governo non sarà facile: “Vedo trattative con un esito aperto. L’ago della bilancia è rappresentato sicuramente dai liberali, gli unici vincitori veri delle elezioni insieme a Afp. Con la cancelliera uscente, però, i liberali saranno molto cauti, perché si ricordano bene la lezione di quattro anni fa, quando uscirono malamente dal Parlamento, ridotti al lumicino: perciò saranno molto attenti a difendere le loro posizioni almeno in due campi, cioè Europa e migranti, che sono abbastanza antitetiche a quelle dei Verdi”. Allargando lo sguardo, Braun sottolinea la frattura culturale fra i cosiddetti cosmopoliti – favorevoli all'apertura delle frontiere e dei mercati – e coloro che i politologi chiamano comunitaristi, i quali vedono minacciata la comunità, la nazione o anche la regione, e coltivano paure spesso radicate nel mondo del lavoro. “Se guardiamo le statistiche sul voto tedesco, vediamo che la Spd fra gli operai totalizza appena il 24%. Ormai i ceti popolari si sentono minacciati e voltano le spalle ai partiti che li hanno rappresentati per decenni, guardano a un populismo nazionalista che promette chiusure. E il catalizzatore è stato la crisi dei rifugiati”.