“Puntare sul lavoro precario e su questi nuovi tipi di soluzioni contrattuali a brevissima scadenza è il segnale di un sistema di imprese non certo sano e che non crea competizione a livello internazionale”. Così l’economista Riccardo Realfonzo nel suo intervento su RadioArticolo1 nel corso dello speciale #SenzaRispetto dedicato alla manifestazione della Cgil del 17 giugno, organizzata per protestare contro la reintroduzione dei voucher e la lesione del diritto dei cittadini.

 “Chi chiede precarietà sono, in sostanza, le piccole imprese che lavorano con tecnologie arretrate in un mercato locale – ha aggiunto lo studioso –, e preferiscono scaricare sul lavoro la loro inadeguatezza.” “Eppure l'obiettivo di una politica industriale avanzata – ha continuato l'economista - non dovrebbe certo essere quello di perpetuare un sistema di produzione molto spesso inadeguato, ma di far crescere le imprese e fare in modo che investano in tecnologia e in lavoro stabile e qualificato. Quelle che si portano avanti, invece, sono delle modifiche di retroguardia che non servono a rilanciare l'economia italiana”.

 

Tutto questo lavorio intorno alle norme sul lavoro, tra l'altro, genera non poca confusione: “Abbiamo un'eccessiva produzione giurisprudenziale sul lavoro – ha spiegato Realfonzo - che genera una profonda incertezza, ed è sostanzialmente inutile. Tutte le ricerche scientifiche sull'argomento confermano infatti che le norme che determinano una maggiore flessibilità e una minore protezione del lavoro non determinano una variazione del tasso di occupazione”.

 “Lo ha recentemente confermato – ha concluso – anche il Fondo monetario internazionale. Al contrario, in Italia, mancano delle serie politiche industriali, con interventi pubblici sulle infrastrutture materiali e immateriali, che sono assolutamente inadeguate. In sostanza, non si agisce su quelle che sono le vere leve dello sviluppo, ma si continua a cercare di indebolire il lavoro”.

Nel corso della trasmissione sono anche intervenuti, a sostegno del 17 giugno, intellettuali e scrittori. Tra questi Alessandro Leogrande, secondo il quale “siamo ben oltre l'invito ad andare al mare la domenica come si faceva trent’anni fa. Qui stiamo assistendo all’esautoramento dello strumento referendario. Per tirare fuori un parolone come fa Luciano Canfora – oclocrazia – si tratta dell’esaurirsi dei corpi intermedi in favore di un utilizzo distorto dell’interpretazione del volere delle masse”.

“Tutto questo – ha proseguito – è semplicemente l’altra faccia della medaglia di una politica che si chiude in sé stessa. Lo  dimostra il commissariamento dell'Ilva: una crisi gravissima, soprattutto per il Sud, demandata alle segrete stanze di tre commissari che dovrebbero cavar fuori il coniglio dal cilindro, ma poi quello che tirano fuori è semplicemente il mantenimento dello status quo al ribasso”.

Lo scrittore Christian Raimo ha invece insistito sul fatto che il mancato svolgimento dei referendum ha rappresentato “un’occasione persa, non solo per il voto in sé, ma perché – qualunque fosse stato l’esito della consultazione –  la campagna avrebbe visto un confronto serrato su idee diverse del lavoro e della società. Così come è accaduto con il referendum sulla riforma costituzionale, che è stato un momento di grande democrazia, e lo sarebbe stato anche se avesse vinto il sì”.