La legge di stabilità 2016 si chiude con una sostanziale riduzione del danno ai patronati, ai quali verranno sottratti 15 milioni di euro dal fondo, anziché i 48 previsti nella prima stesura della manovra. “Resta una cicatrice – commenta Morena Piccinini, presidente dell’Inca – che non si cancella e che si aggiunge ai tagli già sopportati negli anni scorsi. Tuttavia, non possiamo sottacere il valore di questo risultato, ottenuto, anche questa volta, solo grazie alla grande mobilitazione dei cittadini e dei parlamentari che ci hanno sostenuto in questa battaglia”. Comunque, l’emendamento licenziato dalla commissione Bilancio della Camera, da sottoporre all’aula e poi al Senato in terza lettura per l’approvazione definitiva, consegna ai patronati uno scenario nuovo con il quale fare i conti. Al taglio di 15 milioni, si aggiungono gli effetti dei decreti attuativi della riforma, pubblicati con sei mesi di ritardo a novembre, proprio mentre era in corso la discussione parlamentare sulla manovra finanziaria di fine anno.

“Un tempismo quanto meno sospetto – incalza Piccinini –, quasi a dire che i tagli al fondo patronati fossero giustificati dalla previsione di una riorganizzazione dell’attività di tutela che dovrebbe valorizzare il ruolo e la funzione di questi istituti, senza fissare le regole con cui da adesso in avanti dovranno operare”. Scongiurato il taglio di 48 milioni di euro, che per i patronati avrebbe significato la chiusura di molti uffici e il conseguente licenziamento di migliaia di lavoratori, ora bisogna affrontare i problemi derivanti dai decreti che cambieranno comunque le modalità di svolgimento dell’attività di tutela previdenziale e socio-assistenziale di questi istituti. “È una sfida che accettiamo – afferma la presidente dell’Inca –, ma a condizione che il ministero si renda finalmente disponibile a un confronto serio e di merito, che finora ci è stato negato, e che non venga snaturata la missione dei patronati, che resta quella di rappresentare un presidio di solidarietà fondamentale per l’esercizio dei diritti previdenziali e socio-assistenziali dei cittadini”.

I cinque decreti applicativi prendono spunto dall’impegno contenuto nella legge 190/14 (legge di stabilità 2015), teso ad attribuire ai patronati la possibilità di svolgere in Italia e all’estero una serie di attività più ampie rispetto a quelle finora espletate. Fin qui si tratta di poco più di un annuncio, “ma in ciascun provvedimento – avverte Piccinini – ci sono insidie pericolosissime che, se gestite male, rischiano di minare nel profondo il principio della gratuità della tutela, perché non specificano, come invece avrebbero dovuto fare, quali sono le regole da rispettare per evitare che si crei il caos nello svolgimento delle attività di tutela. 

L’Inca non intende rinunciare ad alcuni valori fondamentali, che restano la solidarietà e l’uguaglianza dei cittadini nell’accesso alle prestazioni cui hanno diritto per legge, ma il confronto con il ministero, non più rinviabile, non può svolgersi con la minaccia di altri tagli da proporre in futuro”. Per il patronato della Cgil, la possibilità di chiedere ai cittadini un contributo alle spese per alcune prestazioni, contenuta nel primo decreto, può essere governata in un quadro di certezze che impedisca il proliferare di condotte “disinvolte” a danno dei cittadini, in particolare di quelli maggiormente bisognosi di tutela.

Altro aspetto lacunoso dei decreti riguarda la possibilità di stipulare convenzioni con la pubblica amministrazione e con soggetti privati, per la quale si fa un generico elenco di materie (previdenza e assistenza, diritto del lavoro, sanità, diritto di famiglia e delle successioni, diritto civile, legislazione fiscale, risparmio, tutela e sicurezza del lavoro) e nulla di più, salvo dire che saranno gli stessi soggetti a farsi carico di rimborsare i patronati per il lavoro svolto; come e in che misura non è dato saperlo. Stesse incertezze sono contenute nel quarto e quinto decreto riguardante sia l’attività di informazione, consulenza e assistenza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, sia quella legata all’invio telematico delle pratiche verso la pubblica amministrazione, evocando un “sistema tariffario” da definirsi nelle apposite convenzioni e “un contributo” generico che dovrebbe essere pagato dagli enti pubblici e privati in favore dei quali i patronati erogano il servizio. “Già da tempo, abbiamo inviato al ministero tutte le nostre osservazioni e spiegato quali potrebbero essere le strade da percorrere – conclude Piccinini –. Ci auguriamo che il ministero non perda altro tempo prezioso e avvii un confronto serio e di merito con i patronati, che hanno bisogno di essere messi in condizione di cambiare conservando la loro prerogativa, che è quella di continuare a svolgere l’attività di tutela, tanto indispensabile per milioni di cittadini, quanto prezioso per la stessa pubblica amministrazione”.