... insomma uno di quei pensieri che vorresti tanto che qualcuno un giorno dedicasse a te. Se vogliamo dirla tutta, ai tempi della mia Secondigliano artigiana, operaia e magliara persino uno come Pasqualino ‘o Ricciulillo, addetto al confezionamento in un calzaturificio di Casavatore dal lunedì al venerdì e aiuto pizzaiolo il venerdì, il sabato e la domenica sera, se gli dicevi una cosa così un pugno e anche due te li mollava volentieri. E avrebbe avuto torto. Perché avrebbe perso la possibilità, possiamo immaginare irripetibile nella sua onesta, prevedibile, esistenza, di essere accomunato nientepopodimeno che a Michel de Montaigne. Sì, perché quello dell’esistenza che fluttua è proprio lui, o almeno così ci viene raccontato da Sarah Bakewell in un splendido volume (Montaigne, L’arte di vivere, Collana Campo dei Fiori, Fazi Editore).

Vi state chiedendo perché l’esistenza di un uomo di cotanto senno fluttua in questo modo? Ve lo dico subito: pare che Montaigne avesse scarsissima memoria e la cosa secondo la Backwell ha prodotto alcuni effetti collaterali di non poco conto: il nostro era un uomo propenso alla sincerità (l’arte di dire bugie richiede una memoria di ferro), aveva una mente così “meravigliosamente vuota che nulla poteva ostacolare il suo ragionamento”, “si dimenticava facilmente delle offese ricevute e dunque serbava meno rancori”, era capace di recuperare le sensazioni più profonde delle sue esperienze, quelle che poi ha raccontato nei suo Saggi, proprio perché era preda di quella memoria “involontaria” che tanto fascino avrebbe esercitato su Proust, sì, proprio quella memoria che all’improvviso ti riporta alla mente un volto, un gusto, un odore che pensavi ormai di aver perso per sempre.

Ora voi non provate a domandarvi perché la mancanza di memoria nel mio caso produce come effetti collaterali soltanto ombrelli persi e telefonini lasciati nei posti più improbabili, perché la mia reazione sarebbe pari a quella di Pasqualino ‘o Ricciulillo; chiedetevi piuttosto in che senso e perché Montaigne non è stato soltanto l’ideatore del “saggio”, ma anche il primo blogger della storia. No, il perché non ve lo dico, dovete leggere il libro che tanto poi me ne sarete grati. Piuttosto provate a immaginare in quanti avrebbero cliccato su “mi piace” se Montaigne avesse scritto su Facebook e non su una nota a margine, parlando dell’amico La Boétie sconfitto dalla peste, “se mi si chiede di dire perché l’amavo, sento che questo non si può esprimere che rispondendo: “Perché era lui, perché ero io”.