Cuba, il nuovo realismo socialista
Nel suo intervento al Parlamento cubano dello scorso 11 luglio, Raúl Castro ha impresso una svolta epocale al discorso pubblico del socialismo cubano. Il fratello minore ed erede di Fidel ha ammesso pubblicamente che è finita l’epoca dell'egualitarismo a tutti i costi. E che i cubani devono e possono guadagnare in base a quanto lavorano. “Diciamo la verità – ha dichiarato Raúl -, a Cuba si lavora poco, sempre meno”. E poi: “Troppe cose in questo Paese sono gratis o sussidiate. Il socialismo è uguaglianza di diritti e di opportunità, non di reddito”. Al discorso di Raúl Castro il quotidiano colombiano El Tiempo (d’impostazione liberale) dedica un commento di Leonardo Padura Fuentes, uno scrittore e giornalista cubano. “A 46 anni dalla sua proclamazione – scrive Fuentes – il socialismo cubano sembra aver recuperato il concetto del valore del denaro come regolatore economico e catalizzatore sociale”. L’obiettivo di Raúl è “la produttività e la qualità del lavoro fisico e intellettuale” e nelle sue parole Fuentes legge il segnale che a Cuba “vita reale e discorso iniziano ad avvicinarsi”. “Il denaro ha recuperato il proprio suono e se ne parla, si parla della sua assenza, della sua presenza e della sua necessità perché le persone lavorino e vivano. Nella Cuba socialista”. “Da quando sono sfumati i giorni della bonanza socialista degli anni 80, quando lo stipendio permetteva ai cubani il ‘lusso’ di una cena al ristorante o persino di pagarsi un fine settimana in albergo, il lavoro per lo Stato ha smesso di essere una fonte di introito sufficiente a vivere”. “La diserzione lavorativa – scrive ancora Fuentes – verso settori più lucrosi o almeno con maggiori possibilità economiche (come il turismo, le imprese miste con capitale estero, il lavoro autonomo) oppure l’esilio hanno smantellato molte aree del mondo del lavoro, tra cui anche l’educazione (…) La gente non può vivere solo con quanto paga lo Stato.” “Il nuovo governo cubano – conclude il giornalista – ha lanciato al Paese tre messaggi fondamentali: lavoro, risparmio e disciplina. Sa che è questa la sacra trinità che potrà dare stabilità e durata al sistema”.
(D.O.)

Il ritorno di Kennedy
Grazie Ted. E’ la didascalia della foto con cui il settimanale Rassegna Sindacale apre l’ultimo numero, uscito proprio ieri. Obama sorride al fianco di Ted Kennedy, il senatore democratico da poco reduce da un’operazione. Il rientro di Kennedy in Senato è stato provvidenziale – come racconta nell’editoriale il direttore Paolo Serventi Longhi. Mancava, infatti, solo il suo voto per impedire l’approvazione di una legge proposta dai repubblicani, con cui sarebbe stato tagliato il rimborso ai medici che assistono gli anziani. E’ il quotidiano statunitense New York Times a raccontare la vittoria dell’ultimo Kennedy. “Il Senatore è entrato trionfante in senato, per la prima volta dopo aver appreso di avere un cancro al cervello e nella speranza di offrire ai democratici quell’unico, cruciale voto di cui avevano bisogno per impedire il tagli dei rimborsi ai medici aderenti al piano Medicare. Tenendo tutte e due le mani aperte – continua il quotidiano – come un predicatore che riceve benedizioni, Kennedy, 76enne ha urlato ‘ehi’ e, poi, velocemente, ha alzato il pollice prima di ricevere ancora più baci e abbracci.” Alla fine, il conteggio totale è risultato in un 69 contro 30: dopo l’ingresso di Kennedy, infatti, altri 9 repubblicani hanno votato insieme a lui. Solo il senatore John McCain, candidato alla Casa Bianca per il partito dell’elefante era assente. Le conclusioni ancora nelle parole del New York Times: “Il drammatico ingresso di Kennedy ha concesso ai democratici una vittoria sorprendente, mentre ha segnato un’umiliante battuta d’arresto per i leader repubblicani. Obama ha commentato: “In un momento in cui i medici si trovano ad affrontare aumenti con il doppio zero per provvedere alle cure, sono orgoglioso di essermi unito ai miei colleghi per fermare questo taglio devastante.” Torniamo alla prima pagina di Rassegna Sindacale e al commento del direttore Serventi Longhi: “Ted Kennedy, una vita intensa e anche discussa, ha 76 anni. Rita Levi Montalcini, senatrice a vita sempre presente nelle votazioni cruciali della scorsa legislatura, ne ha 98. Carlo Azeglio Ciampi ne ha 88. Sono alcune delle persone straordinarie che mostrano una strada: quella della difesa dei diritti e della dignità umana e, quindi, di quello stato sociale che negli Stati Uniti come da noi si vuole abbattere”.
(Ma.T.)

I rom e l’Italia. “Cara Europa”, la lettera di Rebecca Covaciu (12 anni)
"Cara Europa...": inizia così la lettera di Rebecca Covaciu, una dodicenne romena di etnia rom che ha trascorso metà della sua vita sulle strade di Spagna e Italia. Il quotidiano spagnolo El País, il 13 luglio scorso, ha dedicato un lungo reportage alla vicenda di Rebecca. L’articolo è stato pubblicato anche sul sito ed è stato il più letto quel giorno, con 35 mila visite, a dimostrazione del fatto che quanto sta accadendo in Italia alla comunità Rom interessa, e non poco, all’intera opinione pubblica europea. Con la sua lettera e i disegni allegati, intitolati 'I topi e le stelle', Rebecca si era aggiudicata il Premio Unicef 2008 per le sue doti artistiche. Lo scorso giugno, però, a Milano, sia lei che il padre Stelian Covaciu erano stati aggrediti – secondo quanto denunciato dalla Ong italiana EveryOne – da degli agenti di polizia. Rebecca racconta al giornalista del País Miguel Mora le sue giornate trascorse a chiedere l'elemosina con i genitori, i bambini visti morire per la mancanza di medicine, la distruzione della sua baracca… “Ha conosciuto la paura dei gitani che sono fuggiti da Ponticelli, a Napoli, quando il loro campo fu incendiato (…) E ha commosso l’Italia con la sua storia in prima persona. Una lettera in cui riassume il suo sogno: andare a scuola e che i suoi genitori trovino lavoro. (…) Cinque anni fa partì dal suo paese, Siria jud Arad, vicino Timisoara (…) Da pochi giorni vive, sogna e disegna in una piccola casa di campagna vicino a un paese della Basilicata” (ospite di una coppia che ha letto la sua storia su internet e ha offerto riparo a lei a alla sua famiglia). "I Covaciu – scrive El País – sono arrivati a questa casa di notte. Arrivavano in treno, un lungo viaggio da Milano. Pochi giorni prima alcuni poliziotti avevano aggredito suo padre Stelian” che ricorda: “Mi hanno minacciato di tornare se li denunciavo”. “Lo ha fatto lo stesso – scrive sempre El País – ed è dovuto fuggire”. Il reportage ricostruisce l’odissea di Rebecca dalla vita di strada alla fama improvvisa ottenuta col premio Unicef, e di nuovo alla fuga. “In Siria - racconta la bambina – avevamo una casa, ma non il pane, e mangiavamo grazie all’elemosina dei vicini. Poi, a Milano, i miei non hanno trovato lavoro, e anche lì abbiamo fatto l’elemosina. Non potevo andare a scuola perché eravamo senza casa. (…) Vivevamo in una baracca di cartone e plastica sotto a un ponte nel quartiere Giambellino”. Poi l’associazione EveryOne scopre il talento di Rebecca e invia i suoi disegni al premio Unicef: “Oltre a principesse e spiagge immaginarie, la bambina disegna la sua vita reale. Ritratti dell’emarginazione, della diaspora e dell’accattonaggio”. Rebecca vince il premio Unicef e “i mezzi di informazione la trasformano per un giorno nella ‘piccola Anna Frank del popolo zingaro’”, scrive ancora El País. Poi, però, il duro ritorno alla realtà.
(D.O.)

Recessione mentale o reale
Di nuovo negli Stati Uniti, stavolta per una polemica che ha a che vedere con i portafogli dei cittadini e dei lavoratori. Ha destato scalpore l’osservazione di Phil Gramm, consigliere economico del candidato repubblicano alla Casa Bianca, John Mccain. Secondo Gramm, la recessione, che ormai molti giornali ed economisti annunciano negli Stati Uniti, è solo uno “stato mentale”. Non sono mancate le risposte sulle pagine dei maggiori quotidiani, settimanali e siti internet di area liberal-democratica. Abbiamo scelto quello dello storico The American Prospect. L’articolo - che si intitola significativamente “Sono gli economisti, stupido” - è scritto da Paul Waldman, autore del libro Stare a destra non basta. Quello che i progressisti devono imparare dal successo dei conservatori. Per Waldman “Gramm ha espresso la sua frustrazione per un’opinione pubblica che non sembra comprendere appieno quanto bene vada l’economia. In quella che senza dubbio diventerà una delle frasi più memorabili della campagna elettorale, Gramm ha detto: ‘siamo diventati una sorta di nazione di lamentosi’”. McCain ha preso subito le distanze ma per l’autore dell’articolo non c’è da scherzare e se il candidato repubblicano la pensasse diversamente dal suo consulente non lo avrebbe assunto. E certo Il Gramm-pensiero non è allettante: “Dal canto suo – spiega Waldman – Gramm è ben disposto a dire che, per quanto gli interessa, la gente normale può andarsene all’inferno. Una volta, quando un collega sostenne che un cambiamento della Social Security avrebbe danneggiato i pensionati ottantenni, gli rispose: 'la maggior parte delle persone non hanno il lusso di vivere fino a 80 anni, perciò mi è difficile provare dispiacere per loro'. Insomma, tant’è – continua Waldman –: se McCain ascolta Gramm è perché condividono la stessa filosofia economica, che poi è anche quella di Bush". Eppure nelle scorse settimane un grafico del Centro per le priorità politiche e di bilancio chiariva gli effetti delle politiche che McCain e i suoi sono intenzionati a portare avanti: “I progressi del mercato del lavoro sotto Bush sono stati particolarmente deboli, con una crescita dell’occupazione e dei salari ben al di sotto della media e, in effetti, inferiori a qualsiasi altro periodo dopo la seconda Guerra Mondiale.” Ma, sottolinea l’autore dell’articolo pubblicato da The American Prospect,: “Mentre le persone non sono state poi così bene nell’era Bush, le multinazionali sono andate splendidamente. Phil Gramm replicherebbe senza ombra di dubbio: ‘Cavoli!! Continuiamo così!!!’ Ed è proprio quello che intende fare McCain. Perciò se non vi piace, beh, smettete di lamentarvi”.
(Ma.T.)

Il sindacato ufficiale della Cina. Partner o problema?
Una domanda cui tenta di rispondere Aaron Halegua dal sito Talking Point Memo ci porta a discutere di nuovo delle sorti dei lavoratori cinesi, come già abbiamo avuto modo di fare la scorsa settimana. “Secondo i sindacati di tutto il mondo la risposta al quesito – spiega Halegu – è quasi unanime: il sindacato ufficiale della Cina (l’ACFTU, l’unico riconosciuto dal governo) è un partner, almeno a livello potenziale.” Eppure per decenni le accuse non erano mancate. In particolare, era criticata la mancanza di indipendenza dal governo e dal partito comunista. “Ma le cose stanno cambiando e i sindacati, americani e non, si stanno riscaldando nei confronti dell’ACTFU. Senza dubbio – spiegano a Talking Points Memo – una delle ragioni di questo cambiamento è il semplice fatto che – come abbiamo ricordato anche noi nella scorsa edizione di Scalo internazionale – un lavoratore su quattro nel mondo è cinese. Mentre le multinazionali continuano a sviluppare le loro attività in Cina, quelli che cercano di controllare il loro potere devono – per forza di cose – aumentare la loro presenza e la loro influenza sul colosso asiatico. Ma il sindacato cinese è davvero cambiato? “Tutti sono d’accordo nel dire che non è ancora un movimento indipendente e vibrante come sognerebbero gli omologhi stranieri. Tuttavia non sono mancati alcuni segnali incoraggianti.” L’ultimo in ordine di tempo lo ha reso noto il Legal Daily, un giornale governativo che ha raccontato il 14 luglio scorso come il sindacato cinese sia riuscito a fare il proprio ingresso nelle grandi multinazionali come la Wal-Mart, il gigante della grande distribuzione. Ovviamente – prosegue l’articolo – “la questione chiave resta ancora quale impatto tutto questo avrà sul benessere dei lavoratori cinesi. Finora però il numero delle conquiste concrete e sostanziali – risultate dall’istituzione delle rappresentanze sindacali nelle aziende - è stato limitato sia per le imprese straniere che per quelle locali.” Adesso, però, “è un ottimo momento per far progredire la causa dei lavoratori in Cina”.
(Ma.T.)

Germania. Così i ricercatori vogliono rendere sicura l’energia nucleare
Torniamo in Europa con questa inchiesta che il settimanale Der Spiegel dedica alle centrali nucleari e ai reattori di nuova generazione, oggetto di studio della comunità scientifica e tecnica. “Più sicurezza per una tecnologia controversa – scrive Ulrich Jaeger -. Una nuova generazione di reattori dovrebbe essere a prova di incidente”. Ma queste centrali esistono solo sulla carta. "Manfred Popp – leggiamo - confronta l’energia atomica con il gioco d’azzardo: 'La probabilità che avvenga un grave incidente nucleare a un reattore è nello stesso ordine di grandezza della possibilità di fare Jackpot al Lotto', spiega il fisico ed ex presidente del centro di ricerca nucleare di Karlsruhe". Lo Spiegel descrive le condizioni di sicurezza dei 439 reattori sparsi per il mondo e prevede che l’atomica sarà "l’opzione energetica del futuro" nonostante i tanti oppositori. "La Francia, che con le sue 53 centrali è la prima d’Europa, ne ha pianificate altre 10 entro il 2020. Finlandia, Svezia, Svizzera e ultimamente anche l’Italia stanno puntando sul nucleare. I costruttori di centrali – prosegue l’articolo – con i loro reattori di terza generazione, che stanno nascendo sia in Francia che in Finlandia, si faranno trovare pronti per il ritorno dell’atomo. (…) Col nuovo reattore europeo ad acqua pressurizzata Epr – spiega il fisico Popp allo Spiegel – 'qualsiasi cosa accada dentro l’impianto', non ci saranno 'conseguenze catastrofiche' per l’ambiente circostante". "L’Epr è stato sviluppato dalla Siemens e dalla francese Framatome" e, garantendo la medesima prestazione energetica dei reattori più vecchi della generazione Biblis, "necessiterà del 15% in meno di uranio, producendo quindi meno scorie nucleari". "I costruttori dell’Epr assicurano che le probabilità di fusione del nucleo radioattivo sono (…) dieci volte inferiori" rispetto ai reattori normali. Ma lo Spiegel (per fortuna) cita anche una voce non pro-nucleare, ossia gli esperti di Greenpeace, che mettono in guardia sull’affidabilità di simulazioni rispetto al comportamento di un reattore nucleare. Lo Spiegel ricorda anche che questi nuovi reattori dovrebbero essere più puliti, non usando uranio arricchito ma solo uranio naturale. Anche quest’articolo molto nuclearista, però, individua un punto debole nell’Epr: i nuovi reattori infatti "saranno protetti dall’attacco di un jet militare, ma non dalla caduta di un aereo civile di grandi dimensioni. E anche se in nessun luogo al mondo un jet civile dovesse cadere su una centrale nucleare, resta sempre il pericolo di un attacco terroristico..."
(D.O.)

Buon Compleanno, Mandela
Nelson Mandela, il leader della lotta all’apartheid, festeggia oggi i suoi novant’anni. Lo fa insieme alla moglie Gracia Machel, ma tenendo a mente i poveri del suo paese, come scrive AlJazeera nell’edizione inglese on line. “Ci sono troppi ricchi in Sud Africa che non condividono il loro benessere con coloro che non sono altrettanto fortunati da riuscire a sconfiggere la povertà.” Il primo presidente di colore del Sud Africa denuncia: “E’ la povertà ad attanagliare il nostro popolo perché se sei povero, è facile che tu non viva abbastanza.”