da Rassegna sindacale "Finora in Italia nessun governo, compreso quello che si definisce 'del cambiamento', è stato capace di intervenire sulle ragioni strutturali che hanno prodotto le difficoltà. Oggi si pone il problema di ragionare su quale modello di sviluppo e produzione vogliamo per il nostro futuro". Così il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha concluso l'iniziativa "Banche, lavoro e Paese. La parola ai numeri: ccnl, crescita dei salari e diritti", che si è svolta oggi (11 marzo) a Roma in corso d'Italia. L'appuntamento si è aperto con la presentazione del rapporto elaborato da Isfr Lab, illustrato dal direttore Nicola Cicala. I dati dell'indagine, ha detto Landini, "suggeriscono una riflessione sul lungo periodo: l'Italia è in una situazione peggiore di altri Paesi europei, perché paga errori e ritardi avvenuti nel corso degli anni. Questo - naturalmente - pur sapendo che abbiamo dovuto fare i conti con una crisi iniziata nel 2008 che non ha precedenti". Quindi la critica sull'incapacità degli ultimi esecutivi di intervenire per cambiare rotta. "La ricetta che si è ripetuta per anni è stato tenere bassi i salari per aumentare l'occupazione: ora è chiaro che non ha funzionato. Non solo il lavoro non è cresciuto, ma è salita molto l'occupazione precaria e senza diritti, nello stesso tempo è calata la qualità. Si tratta di un esperimento da non ripetere". Le cifre sull'occupazione inoltre "parlano chiaro", secondo Landini: "Non siamo tornati affatto alla quantità del 2007, al contrario abbiamo un miliardo di ore lavorate in meno. E soprattutto è aumentato il lavoro povero: moltissimi soggetti pur lavorando non hanno la possibilità di vivere dignitosamente, per esempio i part-time involontari. Esiste quindi una questione salariale nel nostro Paese, che non può essere disgiunta dalla battaglia per la qualità del lavoro". La situazione attuale pone "problemi nuovi" per tutto il movimento sindacale: "Dobbiamo costruire la sostenibilità sociale e ambientale di un modello di sviluppo - a suo avviso -, e questo deve essere un modo per entrare in sintonia con le nuove generazioni". Un cambiamento anche dentro il sindacato, dunque. "La Carta dei diritti universali del lavoro, nostra proposta di legge, contiene delle risposte: per farla vivere però serve una pratica della contrattazione diversa nei territori e nei luoghi di lavoro. Modifichiamo anche i nostri comportamenti - è l'invito del segretario -: noi proponiamo che tutti i lavoratori con qualsiasi contratto abbiano gli stessi diritti, questo incide profondamente anche sulla nostra azione. Occorre definire nuovi modi di lavorare. Per esempio, la Cgil di Varese ha aperto una Camera del lavoro dentro l'aeroporto di Malpensa: vi operano 19mila persone con contratti molto diversi, dal pilota all'addetto alle pulizie, ebbene dobbiamo essere in grado di costruire una vertenza che riguardi quei lavoratori tutti insieme. Le diverse categorie devono discutere e trattare insieme, questo significa sviluppare al meglio la contrattazione inclusiva". Landini è tornato a sottolineare la necessità di una riforma fiscale basata sulla progressività delle imposte: "Ognuno paghi in base a quello che guadagna e alle sue proprietà: serve uno strumento di solidarietà, di lotta contro le diseguaglianze, è un argomento non più rinviabile". Allo stesso tempo bisogna rilanciare un piano di investimenti. "È necessario fare sistema - infine -, il mercato da solo non ha risolto i problemi, è ora di lavorare insieme per lanciare un nuovo modello di sviluppo". A introdurre la giornata è stato Agostino Megale, presidente dell'Isfr Lab, parlando prima del rapporto. "Siamo il settore del credito e delle assicurazioni, sul piano quantitativo non paragonabili ai meccanici, alla funzione pubblica e altri comparti - ha esordito -, ma per la natura e caratteristiche delle banche possiamo tradurre la Fisac, i dirigenti, le Rsa, gli iscritti e i lavoratori in una formula: siamo bancari al servizio del Paese. Vogliamo sfatare un luogo comune: i valori della Fisac guardano a tutto il mondo del lavoro e ragionano in ottica confederale". Nel dibattito è poi intervenuto Leonello Tronti, docente di Economia e politica del lavoro all'Università di Roma Tre. "In Italia è cominciata la recessione tecnica, anche se con il segno -0,1% - ha osservato -: una perdita di reddito modesta che però negli altri Paesi europei non si è verificata. Viviamo una situazione di difficoltà che proietta ombre sul futuro". Le cause, ha proseguito, sono iscritte nell'adozione di un modello di sviluppo trainato dalle esportazioni: "Una forma di 'neomercantilismo povero': neomercantilismo perché baratta la crescita delle esportazioni con la depressione dei salari, povero perché determina una crisi sociale, il lavoro perde potere d'acquisto e salario indiretto, dalle pensioni all'assistenza". Modello che non funziona: "Le esportazioni di fatto sono cresciute, certo, ma poche imprese non sono abbastanza forti per espandere la ricchezza che hanno creato al resto del Paese. I consumi non sono mai tornati ai livelli pre-crisi". L'economista ha poi parlato dei salari. "Le scelte di compressione dei consumi interni e stagnazione salariale vengono da molto lontano, non iniziano dal 2008 ma dal 1991, quando entrò in vigore la disdetta della scala mobile da parte della Confindustria di Pininfarina. Da quel momento il salario è entrato in una spirale di stagnazione da cui non è ancora uscito. Questo si ripercuote su tutto, dagli stipendi ai consumi e naturalmente sulla crescita del Paese: le aziende che guadagnano portano le risorse all'estero, perché lì vedono una prospettiva di crescita". Per Tronti c'è poi "un grande problema": "Il modello contrattuale del '93 non funziona per far crescere le retribuzioni reali. Si tratta di un nodo fondamentale: se gli stipendi crescono meno della produttività infatti avremo sempre una stagnazione del mercato interno, esattamente ciò che è avvenuto. In altre parole si è creato, per paura dell'inflazione, un modello contrattuale deflazionistico che impedisce ai salari di crescere in misura sufficiente per sostenere la crescita. Una ricetta che va bene per qualche tempo, per affrontare una crisi occupazionale o tenere l'inflazione bassa per entrare nell'euro, ma dopo il rischio è avere una palla al piede che portiamo fino ad oggi". "Nel prossimo contratto nazionale vogliamo coniugare una parola antica, ma ancora valida: uguaglianza, sia del salario che dei diritti". Così il segretario generale della Fisac, Giuliano Calcagni. "Un termine che non è mai sfiorito - ha detto -, perché è ciò che permette di tenere unito il mondo del lavoro". Quando l'uguaglianza è venuta meno al contrario si è prodotta una frattura tra generazioni: "Adesso dobbiamo superare il Jobs Act sul tema dei diritti, in materia di retribuzione bisogna archiviare il salario di ingresso. In generale nel nostro Paese c'è un problema salariale che riguarda tutto il sistema, per questo occorre tornare alle radici: il contratto nazionale deve servire a tenere insieme il Paese e inserire i lavoratori nella realtà che li circonda. Il contratto è la nostra Carta costituzionale, soprattutto oggi che vediamo molte spinte divisive". C'è poi il diritto alla formazione permanente, che per Calcagni è "un antidoto alla disoccupazione". "Dobbiamo tutti impegnarci a portare il lavoro nelle regioni del Mezzogiorno", ha aggiunto. Quindi un richiamo all'unità sindacale, che nel settore del credito si rende sempre più necessaria. Di fronte ai colpi della crisi "c'è anche l'occasione per conquistare condizioni di vita e lavoro migliori del passato", a suo avviso: "La crisi ci ha posto anche il problema della divisione, troppo spesso si vede una categoria come una semplice somma di individui. Non deve essere così. In tal senso serve una nuova costruzione culturale, dobbiamo diventare un elemento di unione anche valoriale: solo in questo modo possiamo fare un servizio al Paese e al sindacato".