Una Regione non grandissima, abitata da 4.834.625 persone (poco meno del doppio degli abitanti di Roma), ma dal territorio complesso, si va dal mare alle Dolomiti. Ha fama di avere un servizio sanitario di qualità, ma a leggere gli indicatori e a guardare un po’ più a fondo si scopre che i bisogni di salute di cittadini e cittadine non sono proprio soddisfatti al meglio. Per di più, anche in questo territorio si assiste a uno slittamento verso il privato ma diversamente che in Lombardia - ad esempio – la scelta non è esplicita.

Un po’ di numeri

Secondo i dati della Corte dei Conti, nel 2022 la spesa sanitaria pro capite in Veneto è di 2.290 euro, leggermente più elevata della media del Paese: colloca questo territorio al 10mo posto nella classifica delle Regioni italiane. La disponibilità di posti letto ospedalieri censiti dal ministero della Salute, invece, sia pubblici che del privato accreditato, la fa precipitare in fondo alla tabella con un rapporto di 3,6 ogni mille abitanti: ben sotto la media di 4. In cima alla classifica, invece, per il numero di accessi ai Pronto soccorso: ogni 1000 abitanti sono 306. Ma non è affatto un buon risultato, è la testimonianza che l’assistenza territoriale non funziona.

L’assistenza alle persone

Se si guarda al numero di prestazioni che le strutture erogano a cittadini e cittadini si scopre che nel 2022 c’è stata una diminuzione rispetto al 2019 del 12,2%: -1.109.236 visite, analisi e indagini strumentali su un campione di 10 prestazioni (elaborazione Cgil su dati Agenas). E si allungano i tempi delle liste, si allungano a tal punto che diventano inesigibili tanto che, secondo l’Istat, ben il 6,4% di veneti ha rinunciato alle cure non potendo, a causa di scarsa disponibilità economica, rivolgersi ai privati. Non va meglio per l’assistenza delle persone non auto sufficienti. Se il numero di quanti sono formalmente presi in carico è alto, per il ministero della Salute, nel 2021 l’assistenza domiciliare integrata è stata garantita a 3.800 persone ogni 100mila abitanti della Regione. Le ore di assistenza assicurata a ciascuno sono assai poche: 3 in tutto, portando il Veneto all’ultimo posto della classifica.

Si paga di tasca propria

Dati allarmanti quelli che emergono dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi di quanti si sono avvalsi dei servizi fiscali dei Caf Cgil. Si scopre così che la media di spesa privata per la salute è di 1.223 euro per un pensionato, con un incremento del 4% rispetto all’anno precedente, e di 1.145 euro per un lavoratore, con un incremento del 6%. “Si tratta di cifre impressionanti – dichiara Tiziana Basso, segretaria generale della Cgil Veneto - considerando che pensionate e pensionati della nostra Regione sono spesso sotto la soglia dei 1.000 euro al mese, mentre lavoratrici e lavoratori, quando va bene, superano di poco questa cifra. Un’altra mensilità, se non di più, di salario o di pensione persa, che si aggiunge ai danni che sta producendo un’inflazione ancora troppo alta”.

Le condizioni del personale

In Veneto mancano all'appello 1.300 medici delle diverse specialità e oltre 5.000 figure del comparto, mancano cioè infermieri, tecnici, ostetriche, fisioterapisti, operatori socio sanitari. E anche dal punto di vista delle retribuzioni è una Regione che ha il dato sulle retribuzioni medie degli operatori del comparto tra le più basse d'Italia, che la collocano al 15mo posto tra le 21 realtà considerate. Per le retribuzioni medie dei dirigenti medici siamo invece al quinto posto. “Ci sono tutte le ragioni - afferma Sonia Todesco, della segreteria Fp Cgil Veneto - per proseguire il percorso di mobilitazione avviato attraverso la raccolta firme tra i lavoratori di tutte le Aziende sanitarie per un piano straordinario di assunzioni".

Consultori e assistenza territoriale

La legge 34/1996 prevede che ogni 20mila abitanti deve esserci almeno un consultorio familiare, secondo i dati del ministero della Salute nel 2020 in Veneto se ne registrano solo 0,4. I medici di medicina generale, poi, sono pochi e sovraccarichi. Secondo la legge il numero massimo di pazienti per ogni Mmd è di 1.500, secondo uno studio di Ires Cgil Veneto in Regione la media supera i 1.700 e a maggio 2023 erano censite 784 zone carenti di medici di famiglia. E per di più è la stessa Regione a prevedere che entro il 2025 ne andranno in pensione oltre 400.

Penultimi per spesa in salute mentale

Davvero un triste primato quello che penalizza la salute mentale. “Il Veneto è penultimo nel finanziamento della spesa sanitaria destinata alla salute mentale – sostengono, numeri alla mano, Sonia Todesco e Paolo Righetti (Cgil Veneto) –e purtroppo, negli ultimi anni, la nostra Regione ha costantemente ridotto le risorse. Le linee guida nazionali raccomandano alle Regioni di investire nel settore della salute mentale il 5% del fondo sociosanitario. In Veneto, nel 2016 è stato investito il 2,9%, nel 2018 il 2,5%, nel 2019 il 2,2% e via di questo passo. Nel 2015 la spesa media italiana era di 73,8 euro per abitante, in Veneto di 61,6 euro. Nel 2018 la spesa in Italia è cresciuta di 4,3 euro, arrivando a 78,1, mentre nel Veneto è calata di 7,5 euro, arrivando a 54,1 euro. La situazione è ulteriormente peggiorata anche negli ultimi 24 mesi, nonostante l’impennata dei casi di ansia e depressione tra i più giovani, come effetto collaterale della pandemia”.

Una privatizzazione di fatto

Liste di attesa che si allungano, la conseguenza lo abbiamo visto è che o le prestazioni vengono pagate di tasca propria o si rinuncia a curarsi. Ottimo modo per riempire le casse dei privati, ma non finisce qui. Aggiunge infatti la segretaria generale della Cgil Veneto: “L’assessore alla salute ci ha comunicato che stanno provvedendo a individuare strategie per ridurre le liste d’attesa. Purtroppo le vie che si vogliono percorrere indirizzano appunto o verso il privato - si vuole spostare una parte delle prestazioni sul privato accreditato - o chiedendo uno sforzo aggiuntivo al personale in servizio. Non è questa la strada”. Per altro anche in Veneto si assiste a un fenomeno non nuovo, il personale del servizio sanitario pubblico che si sposta verso strutture private. “Le ragioni di questa migrazione – sostiene Basso – non riguardano solo le condizioni salariali, ma anche i carichi e le condizioni di lavoro, nel pubblico sempre più insostenibili”.

Le proposte della Cgil

L’inevitabile ricorso al privato da parte dei cittadini, ovviamente per chi è in grado di sostenere la spesa, è secondo la dirigente sindacale “causa dell’aumento delle disuguaglianze. Questa è una cosa molto grave, aumentano in maniera esponenziale le persone che rinunciano non solo alla prevenzione ma addirittura alla cura. Per questo, per porre almeno parziale rimedio a questa drammatica situazione, abbiamo chiesto unitariamente, come sindacati, di applicare l’addizionale Irpef sui redditi più alti in modo da recuperare importanti risorse da destinare al welfare territoriale. Siamo rimasti inascoltati da parte della Giunta regionale”. E allora arriva anche in questo territorio l’appoggio della Cgil regionale alle proposte di legge che vogliono aumentare il Fondo sanitario nazionale. Conclude la segretaria:Serve l’impegno di tutti per raggiungere i due obbiettivi fondamentali contenuti nella proposta: portare progressivamente la spesa sanitaria al 7,5% del Pil e superare i vincoli di spesa per il personale. Occorre inoltre la copertura finanziaria per garantire i Livelli essenziali di assistenza e delle prestazioni e per rinnovare il contratto collettivo nazionale di queste lavoratrici e lavoratori, visto che l’ultimo rinnovo riguarda il triennio che abbiamo alle spalle”.