In pensione dopo i 70 anni, con assegni da mille euro al mese. È la prospettiva che attende gli under 35 da poco entrati nel mercato del lavoro, delineata da una recente ricerca realizzata dal Consiglio nazionale dei giovani (organi consultivo della presidenza del Consiglio) insieme a Eures: salari troppo bassi, carriere sempre più precarie e discontinue, con contratti a termine e atipici, stage e tirocini più o meno efficaci, tempo parziale involontario, sono le condizioni, ulteriormente accentuate se si è donne, che portano a questo risultato.

Niente di nuovo per il sindacato

“Nulla di nuovo per noi", sostiene Ezio Cigna, responsabile Politiche previdenziali Cgil nazionale: "Anzi, una conferma di quello che sosteniamo da anni: è necessaria una vera riforma previdenziale, a partire dal futuro delle giovani generazioni”. La ricerca sottolinea infatti quanto sia grave la distorsione dell’attuale sistema pensionistico, che non soltanto proietta nel tempo disuguaglianze reddituali, senza alcuna dimensione redistributiva, ma addirittura punisce i lavoratori con i redditi più bassi, costretti a rimanere nel mercato del lavoro per più tempo.

Al lavoro nove anni in più

Prendiamo l’esempio di un ragazzo che ha iniziato a lavorare nel 2020 a 22 anni: per lui l’età pensionabile scatterà a 71 anni, il dato più alto tra i principali Paesi europei. Rispetto all’età pensionabile attuale, infatti, in Italia serviranno nove anni in più, otto e mezzo in Danimarca, quattro in Grecia, mentre la media Ue è di 1,7 anni. Francia e Germania sono appena sotto, con rispettivamente 1,5 e 1,3 anni, mentre in Spagna, Austria e Svezia non ci saranno differenze tra chi è nato nel 2000 e chi è nato 50 anni prima.

Salari da fame

E veniamo alla questione dei salari. La ricerca evidenzia come i nostri giovani siano penalizzati da salari più bassi. Nel 2021 gli under 25 hanno ricevuto in media 8.824 euro all’anno, il 40 per cento della retribuzione media complessiva, mentre quelli tra 25 e 34 anni hanno percepito 17.076 euro, pari al 78 per cento della media. E alle donne va anche peggio. 

“Sempre nel 2021 più di un under 35 su quattro ha guadagnato meno di 5 mila euro all’anno", spiega Cigna: "Arriva al 16,3 per cento la quota dei giovani con una retribuzione compresa tra i 5 mila e i 9.999 euro, contro il 12,3 per cento osservato per gli altri lavoratori”.

Carriere discontinue

Ai bassi salari si aggiungono carriere discontinue e contratti precari. Nel decennio 2011-2021 la quota dei giovani con contratto a tempo indeterminato è scesa dal 70,3 al 60,1 per cento; nello stesso periodo è aumentata l’incidenza dei rapporti a termine e quella degli atipici, salita dal 29,6 al 39,8 per cento.

Un patto intergenerazionale

“È necessario rafforzare il patto intergenerazionale, soprattutto in un sistema previdenziale a ripartizione come il nostro, dove i contributi dei lavoratori attivi servono a pagare gli assegni di chi si trova già in pensione", prosegue il dirigente sindacale: "Se questa sfida non verrà colta, se non si daranno certezze ai giovani sulla loro futura pensione, incentivandoli a rimanere attivi nel mercato e a versare i contributi, si rischia davvero di andare incontro a una crisi profonda dell’attuale sistema”.

Anche negli ultimi incontri con il governo la Cgil ha fatto presente che bisogna introdurre una pensione contributiva di garanzia, inserendo elementi di solidarietà all’interno del sistema e agendo attraverso il mix tra anzianità ed età di uscita. Il che vuol dire: più crescono contribuzione ed età, più dovrebbe aumentare l’assegno di garanzia, valorizzando tutti i periodi degni di tutela come la disoccupazione, la formazione, le politiche attive, stage, tirocini e così via.

Emergenza giovani: il governo che fa?

I tavoli di confronto sul tema delle pensioni non hanno però determinato alcun passo in avanti, né per chi è vicino al traguardo pemsionistico tanto meno per i giovani, totalmente dimenticati da questo esecutivo.

“Esiste un’emergenza giovani nel nostro Paese", afferma la segretaria confederale Cgil Lara Ghiglione: "Lo dicono chiaramente tutti i dati, lo abbiamo ribadito anche nell’incontro dello scorso 11 luglio con il governo. Parlare di giovani significa contrastare la precarietà e aumentare i salari, da qui bisogna partire. Strada esattamente opposta a quella intrapresa nell’ultima legge di bilancio e con il decreto lavoro, con l’allargamento dei voucher e la proroga dei contratti a termine”.

Conclude Lara Ghiglione: “In assenza di risposte, la previdenza resterà una delle tante ragioni della nostra mobilitazione che ci riporterà in piazza a Roma il 7 ottobre per una grande manifestazione nazionale”.