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L’innalzamento dell’età pensionabile contenuto nell’articolo 43 della Legge di Bilancio colpisce con particolare durezza chi vive di salari bassi e contratti fragili. Secondo l’Osservatorio previdenza della Cgil, quasi un terzo dei lavoratori privati non riesce a maturare dodici mesi contributivi, intrappolato tra part-time involontari e occupazioni intermittenti. Sono soprattutto donne e giovani, e sarà proprio su di loro che ricadrà l’effetto più pesante dell’aumento automatico legato all’aspettativa di vita.
La simulazione della Cgil
“La nostra analisi, basata sui dati dell’Osservatorio Inps sulle retribuzioni – spiega Ezio Cigna, responsabile delle politiche previdenziali della Cgil nazionale – dimostra che dal 2028 chi ha retribuzioni basse dovrà lavorare settimane e mesi in più solo per recuperare i tre mesi di incremento decisi da questo esecutivo”. Con 5.000 euro annui serviranno quasi due mesi di lavoro aggiuntivi, che diventeranno oltre sette nel 2040 e un anno e un mese nel 2050, perché ogni venti mesi ne varranno solo dodici ai fini della pensione.
Redditi bassi, effetti crescenti
La forbice si allarga anche per chi ha redditi leggermente superiori. “Per chi percepisce 8.000 euro l’anno – prosegue Cigna – i tre mesi in più del 2028 significano un mese e una settimana aggiuntivi di lavoro; nel 2029, con l’aumento a cinque mesi, ne serviranno almeno altri due; nel 2040, per recuperare i tredici mesi stimati, saranno necessari quasi cinque mesi di lavoro ulteriore; e nel 2050, con ventitré mesi previsti, si dovranno aggiungere oltre otto mesi ai tredici già stimati”. Un meccanismo che allontana ancora di più la pensione per chi ha attraversato una vita lavorativa povera.
“Il meccanismo di adeguamento all’aspettativa di vita – continua Cigna – è profondamente ingiusto perché penalizza di più chi ha salari bassi e lavori più pesanti. La legge presume che tutti vivano e lavorino nelle stesse condizioni, ma la realtà è che chi guadagna meno lavora di più, vive peggio e avrà una pensione più bassa”.
Le promesse mancate e il rischio disuguaglianze
Il governo aveva annunciato il superamento della legge Monti Fornero e il blocco dell’adeguamento automatico. “La realtà è ben diversa – denuncia Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil – L’articolo 43 della Legge di Bilancio conferma l’aumento dei requisiti e si andrà in pensione più tardi, scaricando la sostenibilità del sistema su chi ha meno tutele e guadagna meno”.
Il sindacato segnala inoltre un’altra criticità. Il minimale contributivo è aumentato del 16,5% dal 2022, molto più dei salari, cancellando settimane di contributi anche a chi ha lavorato tutto l’anno. “Dal 2023 al 2026 un lavoratore può perdere ventidue settimane, oltre cinque mesi e mezzo di pensione futura”, avverte sempre Cigna.
Verso lo sciopero del 12 dicembre
“Siamo di fronte a una scelta politica che aggrava le disuguaglianze”, insiste Ghiglione. “La pensione non può diventare un privilegio per pochi. Chi ha svolto lavori poveri, precari e pesanti deve poter andare in pensione prima, non dopo. Invece questo Governo fa l’esatto contrario”.
Anche per queste ragioni il 12 dicembre la mobilitazione attraverserà tutto il Paese, per difendere sanità pubblica, politiche industriali, occupazione stabile, salari dignitosi e una riforma previdenziale equa. “A questo governo chiediamo una cosa semplice – conclude la segretaria confederale – cambiare strada, perché non si può essere poveri al lavoro e ancora più poveri da pensionati, magari pur avendo lavorato una vita”.




























