Nulla e poi ancora nulla: solo bugie. Il governo continua a nascondere le sue intenzioni sulle pensioni coprendole di slogan – da “aboliremo la Fornero” ad “aumenteremo le pensioni minime tagliando quelle dei ricchi” fino a “allargheremo Opzione donna" – che si stanno rivelando per quello che sono, cioè dei bluff. Per questo “il 7 ottobre saremo in piazza anche per la previdenza – dichiara Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil – che, insieme agli altri grandi temi, è al centro della nostra mobilitazione”. Poche speranze, dunque, perché, incalza la sindacalista, “nonostante le promesse elettorali questo esecutivo sulle pensioni non farà nulla”.

Proviamo, nonostante le tante reticenze, con l’aiuto di Ezio Cigna, coordinatore delle Politiche dei diritti e della previdenza della Cgil, a capire cose bolle in pentola. “Tra i 31 collegati alla Nadef ve ne è uno sulle pensioni che è ancora sconosciuto. Non ci aspettiamo nulla di particolare. Le scelte che verranno portate avanti con la legge di bilancio saranno semplici ritocchi del sistema attuale, attraverso proroghe di misure, alcune di queste assolutamente inutili, come quota 103”. 

I giovani dimenticati

Quindi, nulla sui giovani: altro che pensione di garanzia. E nulla sulle donne: “Non ci sarà nessuna marcia indietro su Opzione donna – attacca Cigna –. Non è stata fatta nel 2023, nonostante le promesse della ministra. Nel migliore delle ipotesi si lavorerà per una misura all’interno dell’Ape sociale, ma con requisiti di età molto lontani dai 58 anni di età – come originariamente previsti (58 anni e 35 di contribuzione)”. E nulla, ancora, sulla flessibilità dell’età pensionabile, ma una proroga di “quota 103”, con tutti i paletti già previsti lo scorso anno. 

“Verrà probabilmente prorogata l’Ape sociale senza alcun allargamento della platea – come da noi richiesto – e senza alcun abbassamento del requisito contributivo, che è il vero sbarramento per i lavori gravosi”, aggiunge l’esperto.

Le mani sulla rivalutazione

E poi la chicca: l’esecutivo sta guardando con molta attenzione a un ulteriore taglio alla rivalutazione delle pensioni per fare cassa e potrebbe ancora una volta ipotizzare un’ulteriore riduzione, come già fatto appena eletto con una strumentalizzazione insostenibile, quella secondo la quale il taglio sarebbe servito ad aumentare le pensioni più basse. “Ma non è stato affatto così – rileva Cigna – visto che l’aumento delle pensioni minime ha impegnato poco più di 400 milioni nel 2023, mentre il taglio sulla perequazione per le pensioni superiori a 4 volte il trattamento minimo ha determinato un taglio per lo stesso anno pari a 3,5 miliardi”.

Insomma, la possibilità che il governo intervenga con una profonda revisione della legge Fornero sono nulle. Riprende Ghiglione: “La ministra del Lavoro prende tempo  per capire le risorse precise che avrà a disposizione per il capitolo previdenza. In realtà sappiamo bene  che, anche a causa delle politiche sbagliate del governo, il paese non cresce. In questi mesi si sono tenuti incontri finti e inutili, che non hanno determinato alcun risultato, ma nel frattempo con il decreto lavoro è aumentata la precarietà, in particolare per i giovani”. 

Fact Checking sulle pensioni

È utile, per capire la linea perseguita dal governo Meloni, ripercorrere brevemente quanto fatto dallo stesso nel suo primo anno di governo con la scorsa legge di bilancio. Di sicuro c’è stato, come detto, un taglio pesante della rivalutazione delle pensioni: 3,5 miliardi in meno nel solo 2023, 17 miliardi in meno nel triennio. Tagli che avranno effetti sulla pensione non dei ricchi, come ha sostenuto la presidente del Consiglio, ma sugli assegni di impiegati e operai specializzati che hanno lavorato e versato contributi per 40 e più anni. Opzione donna è stata praticamente azzerata, da un lato con l’innalzamento del requisito anagrafico di 2 anni (conferma dei 35 anni di contributi ma con 60 anni di età) e, dall’altro, con la forte contrazione della platea di coloro che potranno accedere alla misura attraverso la previsione di nuove e ulteriori condizionalità: un’invalidità almeno del 74%; assistere un familiare con handicap grave; essere lavoratrici licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione di crisi aziendale.

Il bluff di quota 103

Altro che 41 anni di contributi per tutti. La condizione del possesso di almeno 62 anni di età per il 2023 ha fatto sì che una misura che secondo il governo doveva permettere a 40 mila persone di lasciare il lavoro, invece – come correttamente aveva stimato l’Osservatorio previdenza della Cgil e della Fondazione Di Vittorio – è stata utilizzata da circa 11 mila persone, solo 3 mila delle quali donne.

Ape sociale: proroga con tanti limiti

La proroga dell’Ape sociale ha riguardato solo il 2023 senza alcun allargamento della platea, nemmeno per coloro che svolgono attività gravose, con ancora alcune professioni inopportunamente escluse. Il governo stima 20 mila uscite, ma le analisi dell’Osservatorio previdenza della Cgil e della Fondazione di Vittorio, ne calcola 13 mila.

I lavoratori precoci: meno risorse 

Viene ridotto il limite di spesa per i lavoratori precoci, per cui il diritto al trattamento pensionistico anticipato è riconosciuto con un requisito contributivo ridotto (pari attualmente a 41 anni di contribuzione laddove sussistono determinate condizioni). La riduzione prevista è di 80 milioni di euro per il 2023, 90 milioni per il 2024 e di 120 milioni dal 2025 in avanti. Insomma: altro che 41 anni di contributi per tutti.

Riduzione del Fondo per i lavoratori usuranti 

Viene ridotto il limite di spesa per i lavoratori usuranti: di 100 milioni di euro per l’anno 2023 e di 80 milioni di euro dall’anno 2024. Anche in questo caso, come detto per il taglio al fondo precoci, si interviene riducendo la capienza del fondo per i lavoratori usuranti complessivamente per 180 milioni nel biennio 2023-2024, anziché prevedere un potenziamento della misura.

Incentivo alla prosecuzione dell’attività lavorativa

Viene prevista per i lavoratori dipendenti che abbiano maturato i requisiti di quota 103 la possibilità di proseguire l’attività lavorativa e beneficiare direttamente in busta paga della contribuzione a carico del lavoratore (pari al 9,19%), con conseguente esonero del relativo versamento da parte del datore di lavoro e del relativo accredito contributivo. Una misura che, per la Cgil, altera la logica interna del sistema previdenziale e che rischia di determinare differenze tra i lavoratori.

Accetta sul Fondo per l’uscita anticipata dal lavoro 

Il governo dimostra che non c’era alcuna volontà di introdurre strumenti di flessibilità in uscita, nemmeno per coloro che potrebbero essere accompagnati alla pensione a seguito di determinati requisiti di età dipendenti di piccole e medie imprese. Vengono infatti sottratti 550 milioni nel triennio, che si sommano alle altre risorse sottratte sul capitolo previdenziale e utilizzate per altro

Difficile dunque aspettarsi qualcosa di diverso. “L’intenzione del Governo – conclude la segretaria confederale della Cgil – è chiara: proseguire con le bugie sulle pensioni. Non c’è alcuna volontà di confrontarsi con il sindacato e sulla nostra piattaforma unitaria che gli abbiamo presentato da mesi. Motivo in più per scendere in piazza il 7 ottobre”.