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La “crisi dei Pronto Soccorso” di cui si sta parlando in questi giorni, rappresenta in realtà una profonda crisi di sistema del Servizio sanitario nazionale complessivamente inteso e come tale merita interventi di strutturali più che soluzioni parziali o tampone; la semplificazione di un problema complesso come quello della salute dei cittadini o la sua parcellizzazione, porta, come accade ormai da troppi anni, a rilevare segnali di allarme solo quando viene messa in discussione l’offerta dei servizi dell’Emergenza-Urgenza che in realtà dovrebbero rappresentare solo l’ultima eventuale e spesso evitabile tappa dei percorsi terapeutico-assistenziali.
Premesso che questa logica è lo specchio di politiche sanitarie tutte incentrate sulla cura, spesso tardiva, della malattia e non della sua prevenzione, la crisi dei pronto soccorso rappresenta la punta di un iceberg che andrebbe prima studiato in profondità, con serietà e attenzione per rilevare le cause e le possibili soluzioni.
Prima di tutto abbiamo il dovere professionale, ma anche politico e culturale, di denunciare in modo chiaro che i problemi oggi evidenziati anche per l’impatto travolgente della Pandemia, non sono il risultato di errori di programmazione o di esigenze di contenimento della spesa pubblica, ma, al contrario, sono la conseguenza di scelte politiche consapevoli costruite nell’ambito dei paradigmi del libero mercato che, per favorire lo sviluppo economico, spesso di corto respiro, creano una concorrenza sleale tra pubblico e privato e trasformano la salute in un terreno di conquista dell’imprenditoria privata anche convenzionata e della sanità integrativa, attraverso la mercificazione della malattia.
Se vogliamo essere chiari, ma soprattutto onesti con la cittadinanza, dobbiamo evidenziare che le scellerate politiche di indebolimento del Servizio Sanitario Nazionale Pubblico, Universale e gratuito hanno agito attraverso tre direttrici fondamentali che dal definanziamento economico alla frammentazione organizzativa hanno deliberatamente e scientemente destrutturato il sistema dal suo interno.
La prima e più efficace strategia adottata in questi anni ha agito attraverso politiche di contenimento della spesa per il personale che, con il blocco del turn-over e con i tetti di spesa, ha di fatto imposto tagli al personale pari a 70 mila unità, circa 50 mila per il personale del comparto, 10 mila per medici e dirigenti sanitari dipendenti e 10 mila medici convenzionati tra i quali i medici di famiglia e gli specialisti ambulatoriali, senza ancora avere chiara la stima dei pensionamenti e delle dimissioni volontarie che non vengono sostituite.
La seconda e più subdola è quella incentrata sulla dequalificazione progressiva e inarrestabile del ruolo dei professionisti che pur essendo i garanti principali della salute dei cittadini, sono oggi marginalizzati nei processi decisionali e, inseriti in contesti gestionali aziendalistici incentrati sul risparmio e sul profitto, vengono costantemente squalificati da un punto di vista professionale ed economico.
La terza riguarda la frammentazione organizzativa dei servizi sanitari che in contesti sanitari regionali molto diversi tra loro, ha diviso, spesso parcellizzato gli interventi, separando il sociale dal sanitario, il territorio, dall’ospedale, fino anche alla frammentazione della formazione e dei rapporti di lavoro dei professionisti che oggi impedisce nello specifico un’adeguata riorganizzazione della medicina generale.
In questo contesto, le soluzioni alla cosiddetta “crisi del pronto soccorso” non possono quindi essere rintracciate continuando a ragionare secondo parti o pezzi sistema, è necessario recuperare una visione d’insieme in cui mondi separati, Ospedale e territorio possono ritrovare unicità e coesione attraverso percorsi costruiti intorno ai cittadini e incentrati sui servizi multiprofessionali più che sugli studi dei singoli professionisti.
I segnali che arrivano purtroppo non sono affatto incoraggianti: il fondo sanitario nazionale, nonostante la pandemia e a fronte dell’aumento dei finanziamenti per gli armamenti, nei prossimi anni subirà l’ennesimo arretramento rispetto al Pil, i tetti di spesa per il personale rimangono sostanzialmente bloccati, le prospettive di riforma dell’assistenza territoriale e ospedaliera continuano a seguire logiche di divisione anche condizionate da interessi di parte che esulano da quelle dei cittadini, ma soprattutto i professionisti son sempre più sovraccaricati, isolati e demotivati sotto al peso di responsabilità crescenti ormai non più sostenibili senza mezzi e adeguata organizzazione.
Serve prima di tutto la volontà politica, oggi del tutto assente, di proteggere, potenziare, rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale, pubblico, universale gratuito a partire dal potenziamento e dalla riqualificazione del personale socio sanitario della dirigenza e del comparto. Oggi è chiarissimo che la causa principale della crisi del sistema è rintracciabile nelle politiche di definanziamento di questi anni, che oggi vengono perpetrate, per questo più che cercare soluzioni gestionali od organizzative, che peraltro spesso sono parziali e divisive, è necessario un profondo cambio di tendenza, è necessario sensibilizzare la coscienza sociale e collettiva, è necessario rilanciare la mobilitazione continua, diffusa e partecipata costruita con la cittadinanza per la difesa della salute come bene fondamentale, costitutivo, e per questo irrinunciabile, delle persone.
Andrea Filippi, responsabile Fp Cgil Medici nazionale