I dati sono davvero impietosi: “Nel 2021, la spesa sanitaria direttamente a carico delle famiglie è stata pari a 36,5 miliardi, con un aumento in media annua dell’1,7 osservato nel periodo dal 2012-2021”.

Questi numeri non sono forniti dal sindacato e nemmeno dalle associazioni degli utenti: sono quelli ufficiali illustrati al Senato, davanti ai componenti la X Commissione permanente (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) dalla dottoressa Cristina Freguja, direttrice della Direzione centrale per le statistiche sociali e il welfare dell’Istat.

Quanto costa la sanità

L’ultimo anno di cui si dispone dei dati è il 2021, l’anno due della pandemia, l’intera spesa sanitaria, pubblica e privata, ammontava a circa 168 miliardi così suddivisa: il 75,6% spesa pubblica; il 21,8% a carico delle famiglie; il 2,7% sostenuta dai fondi integrativi. Cosa pagano di tasca propria i cittadini e le cittadine è presto detto: il 36,5% se ne va per l’assistenza ambulatoriale per la cura e la riabilitazione. Per farmaci e presidi sanitari se ne va il 29,3%, mentre per l’assistenza sanitaria a lungo termini, apparecchiatura e altri presidi durevoli l’incidenza è del 10,4%.

E chi non può rinuncia

Dice ancora la dirigente dell’Istat: “Nel 2022 le prestazioni sanitarie fruite sono, inoltre, più contenute rispetto al periodo pre-pandemico. Dalle indagini Istat sulla popolazione, si rileva infatti una riduzione – diffusa a tutte le ripartizioni – della quota di persone che ha effettuato visite specialistiche (dal 42,3% nel 2019 al 38,8% nel 2022) o accertamenti diagnostici (dal 35,7% al 32,0%) – nel Mezzogiorno quest’ultima riduzione raggiunge i cinque punti percentuali. La flessione riguarda tutte le fasce d’età, ma è maggiore nelle età anziane, con riduzioni di sei punti per le donne, e comunque anche tra i minori che ricorrono a visite specialistiche o tra le donne adulte per gli accertamenti”. Dati che chi andrebbero letti ai fautori dell’autonomia differenziata.

Secondo l’Agenas la quasi totalità delle regioni non solo non ha recuperato le prestazioni non erogate a causa della pandemia, ma nemmeno i livelli del 2019. E molti rinunciano a visite e accertamenti a causa delle lunghe, lunghe liste di attesa.

Per la Cgil

Anche il sindacato è stato audito dalla X Commissione. La posizione è netta e chiara: il sistema sanitario nazionale è definanziato, quest’anno tra inflazione aumento delle spese energetiche il rischio default per molti enti territoriali è reale. Sostiene Cristano Zagatti, responsabile politiche della salute della Cgil:” Anche l'Istat indica esattamente il problema del sotto-finanziamento del Ssn e dell'irrilevanza di altre misure già adottate da anni. Va affrontato da subito il tema del finanziamento del Ssn che è al collasso, tutto il resto è terapia 'palliativa'. Vedremo se chi presiede i lavori della X Commissione userà onestà intellettuale portando al governo l'urgenza di intervenire già nel Def o se queste audizioni, compresa la nostra, sono un goffo tentativo di indicare la pagliuzza nascondendo la trave. In questa malaugurata ipotesi sarà la fine del sistema di cure per tutti, la salute diventerà un privilegio legato alla disponibilità economica, al luogo dove vivi e al genere”.

Il grido d’allarme dei territori

Proprio mentre la dottoressa Freguja illustrava i suoi numeri a Palazzo Madama, la Conferenza delle Regioni approvava all’unanimità un documento che è un vero e proprio grido d’allarme, stante così i conti: “Non potremo disporre delle risorse sufficienti a erogare tutta l’assistenza necessaria, con il rischio concreto di non assistere le fasce più deboli della popolazione, con la compressione di un diritto essenziale costituzionalmente tutelato”.

Quanto servirebbe per evitare il naufragio? Cinque miliardi per pagare i debiti pregressi, 20 per allinearci alla Francia, 50 per raggiungere la Germania.

Un'ulteriore diseguaglianza

Riguarda chi può permettersi di pagare polizze assicurative e tutti gli altri. Sostengono ancora le Regioni: “La spesa sanitaria privata (out of pocket e sanità integrativa) è cresciuta in maniera considerevole: nel 2021, ha superato i 40 mld di euro (circa 37 di out of pocket e circa 4 di sanità integrativa). Il finanziamento del Ssn arretra, lasciando che i cittadini trovino altre forme di finanziamento per le proprie spese sanitarie. Tutto questo con riflessi in termini di equità di accesso alle prestazioni sanitarie che non è possibile ignorare”.

La dimensione del fenomeno assicurativo è ancora la dirigente dell’Istituto di statistica a segnalarla: “Il ricorso alla copertura assicurativa nel 2022 riguarda una quota di poco superiore al 5% delle persone che hanno dichiarato di aver effettuato visite specialistiche o accertamenti diagnostici nei 12 mesi precedenti l’intervista, ma risulta in lieve aumento soprattutto al Nord-Ovest”.

Per la Confederazione

Commenta Jorge Torre, responsabile Fondi sanitari integrativi della Cgil: “Rispetto alla sanità integrativa vanno definite, insieme alle organizzazioni sindacali confederali, le regole per la gestione, la vigilanza e la trasparenza del sistema, vanno evitati meccanismi che alimentano il 'mercato di prestazioni inappropriate, che vadano verso 'modelli' a scopo di lucro e che mettano ulteriormente in crisi il servizio sanitario nazionale”.

“È necessario – aggiunge il dirigente sindacale - che la sanità integrativa sia orientata a un rapporto più stretto con la rete dei servizi pubblici territoriali, da esercitare in una dimensione sinergica e integrativa al servizio universale con una funzione di sostegno al welfare pubblico e quindi solidaristica rispetto alla comunità. Vanno create le condizioni per favorire convenzionamenti tra il servizio sanitario nazionale e le forme di sanità integrativa capaci di sostenere e aiutare il sistema pubblico, garantendone il ruolo e potenziando la sua capacità di governance, ad esempio il prevedendo pagamento diretto dei ticket sanitari da parte dei fondi o lo sviluppo e l’utilizzo dell’attività intra-muraria, nel rispetto delle regole di funzionamento e degli indicatori dei tempi d’attesa”.