Quattro miliardi sembrano una cifra enorme, ma per quanto riguarda la tutela della salute sono davvero pochi. Tanto più in periodo di alta inflazione e caro energia. Lo aveva denunziato la Cgil mentre il Parlamento esaminata la manovra Meloni, tanto da indire con la Uil una settimana di scioperi e mobilitazioni. Lo illustra l’Osservatorio sui conti pubblici dell'Università Cattolica di Milano in uno studio.

“Il Servizio sanitario nazionale vive un momento di crisi senza precedenti” afferma la segretaria confederale Cgil Daniela Barbaresi: “Dopo tre anni d'incremento del Fondo sanitario per fronteggiare l’emergenza pandemica, si torna di nuovo a disinvestire nella sanità pubblica, fino a far precipitare il rapporto tra spesa sanitaria e Pil al 6,1% nel 2025, ben inferiore ai livelli pre-Covid”.

Cosa dice lo studio

La legge finanziaria ha portato in dote alla sanità 4 miliardi in più rispetto al 2022. Di questi, 2 erano stati già stanziati e appostati dal Governo Draghi. Dei 2 targati Meloni, 1 miliardo 600 milioni servono a pagare l’aumento del costo dell’energia e 200 milioni per il parziale incremento del salario del personale dei pronto soccorso. Secondo l’Osservatorio, l’aumento di reali risorse “è solo il 3% in più, nonostante l’inflazione abbia raggiunto a novembre quasi il 12% su base annua. L’approccio che sembra essere stato adottato dal nuovo governo è quello di dare precedenza ad altre misure”.

Aumento solo apparente

La verità è che la tendenza al graduale ma costante restringimento del perimetro pubblico, soprattutto per ciò che riguarda la sanità, non è mai venuto meno, tranne negli anni in cui il Covid imperversava violento. Osserva lo studio: “Se si considera la spesa sanitaria in termini reali (ovvero aggiustata per l’inflazione), l’aumento negli anni della pandemia viene cancellato dalla fiammata dell’inflazione. La spesa, valutata a prezzi costanti, torna poco sotto i valori del 2019”.

Le preoccupazioni della Cgil sono forti. “La manovra - riprende Barbaresi - non solo non investe nella qualità delle prestazioni sanitarie, ma programma invece il restringimento del perimetro del servizio sanitario pubblico e universale, limitando l’accessibilità ai servizi socio-sanitari e determinando l'ulteriore progressiva privatizzazione della sanità e la crescita delle diseguaglianze tra persone e territori”.

Pnrr e sanità

Si dirà: poche risorse per il Fondo sanitario, ma tante dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Prima di tutto, tante non sono, visto che dei 191 miliardi che arriveranno in Italia solo 15,6 miliardi (pari all’8,2% del totale) sono destinati alla sanità. Dovranno servire soprattutto per dare vita, finalmente, alla sanità di territorio, istituendo case e ospedali di comunità, creando una vera assistenza domiciliare. Peccato che, una volta costruiti, questi luoghi questi rimarranno vuoti se non si assumeranno i professionisti che serviranno a tenerli aperti.

La Missione 6 del Pnrr prevede, infatti, 1.350 Case della comunità, 600 Centrali operative territoriali e 400 Ospedali di comunità, per un totale di circa 18.350 infermieri, 10.250 unità di personale di supporto, 2 mila operatori socio-sanitari e 1.350 assistenti socialiMa il piano di assunzioni e le rispettive risorse non sono previste da nessun capitolo di spesa.

Certo, il sottosegretario alla salute Marcello Gemmato non nasconde il proprio intento: non aprire case e ospedali di comunità, ma potenziare ruolo e funzioni dei medici di medicina generale e delle farmacie. Gli uni e le altre soggetti privati convenzionati con il pubblico. E dimenticavamo, Gemmato, prima di essere sottosegretario, è farmacista.

Le richieste della Cgil

“Vorremmo festeggiare il 45esimo compleanno della legge 833/1978, quella che istituisce il servizio sanitario pubblico e universale, rendendolo più forte e in grado di rispondere ai bisogni di salute della popolazione”, afferma la segretaria nazionale, ricordando i principali nodi da sciogliere: "Occorre aumentare subito e per davvero il livello di finanziamento del servizio sanitario nazionale. E poi superare il tetto di spesa sul personale.investendo in un piano pluriennale di assunzione".

Infine, occorre garantire "una rete capillare di servizi sanitari e socio-sanitari territoriali, realizzando e rendendo rapidamente operativi ospedali e case di comunità. Necessariamente, quindi, va definita una riforma della medicina generale che regoli anche la loro partecipazione alle case di comunità”.

Certo, occorre intendersi su che tipo di sanità di vuole: quella definita dalla Costituzione o quella sempre più privatizzata? Quel che appare chiaro è che per garantire il ben-essere delle persone c’è bisogno di allargare il perimetro pubblico e implementare le risorse.

L'allarme delle Regioni

Le Regioni lanciano l'allarme sulla sostenibilità della sanità pubblica e chiedono aiuto al governo. E lo fanno con una lettera inviata ai ministri della Salute Orazio Schillaci e dell'Economia e Finanza Giancarlo Giorgetti, firmata dal coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni, Raffaele Donini, a nome di tutti gli assessori regionali alla sanità. "La sostenibilità economico-finanziaria dei bilanci sanitari è fortemente compromessa dall'insufficiente livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale - si denuncia nella missiva - dal mancato finanziamento di una quota rilevante delle spese sostenute per l'attuazione delle misure di contrasto alla pandemia da Covid-19 e per l'attuazione della campagna vaccinale, dal considerevole incremento dei costi energetici sostenuti delle strutture sanitarie e socio assistenziali, pubbliche e private accreditate, dal continuo aumento dei prezzi delle materie prime, dei materiali e dei servizi per effetto dell'andamento inflattivo".

Questa situazione, ricordano le regioni, "nei prossimi anni è destinata a peggiorare per effetto del personale dipendente e convenzionato che andrà in quiescenza, la cui consistenza è decisamente superiore a quella delle risorse umane formate che potranno essere impiegate. Non di meno ci preoccupa la pericolosa disaffezione o 'crisi di vocazione' che sta vivendo il personale afferente il Ssn e in settori estremamente delicati, ma cruciali e strategici per la tenuta del Servizio sanitario stesso, come quello legato all'emergenza".

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