“Accogliamo con grande soddisfazione l’ordinanza del Tribunale di Trento che ha rimesso alla Corte costituzionale la valutazione sulla legittimità del meccanismo di perequazione automatica introdotto dalle leggi di bilancio 2023 e 2024. È una decisione che rappresenta un passaggio fondamentale nella nostra battaglia contro un sistema iniquo e penalizzante, che ha colpito milioni di pensionati e pensionate negli ultimi anni”. Inizia così la nota di Cgil nazionale e Spi Cgil.

Il sindacato commenta il provvedimento del Tribunale del capoluogo trentino dello scorso 30 giugno, che solleva la questione della scelta del Governo di rivalutare le pensioni per blocchi invece di rivalutarle per fasce.

La parola passa dunque alla Consulta. Spiegano Cgil e Spi: “Il passaggio dal sistema ‘a scaglioni’, più equo, al sistema ‘a blocchi’ nella rivalutazione automatica delle pensioni, che applica un’aliquota fissa all’intero importo dell’assegno sulla base di soglie rigide, ha svuotato di significato il principio di proporzionalità contributiva, producendo inoltre un effetto strutturale di appiattimento dei trattamenti pensionistici, in contraddizione con la storia lavorativa e contrattuale delle persone”.

In pratica due pensioni inizialmente distanti dopo la rivalutazione si ritrovano quasi allineate: in questo modo “vengono cancellate le differenze tra carriere e contributi versati e di fatto si disincentiva il lavoro stabile, continuativo e contributivo”.

Si tratta di un duplice danno, secondo Cgil e Spi: “Economico, perché la perdita si consolida nel tempo, e morale, perché si rompe il patto implicito tra cittadino e Stato secondo cui alla contribuzione deve corrispondere un trattamento proporzionato e dignitoso”.

Un’operazione mirata a fare cassa sulle pensioni. “E non certo la prima – proseguono –: questo Governo, a partire dalla legge di bilancio del 2023, ha tagliato nel triennio 10 miliardi di euro netti dalle pensioni, che arrivano a 54 miliardi in dieci anni. La riduzione della rivalutazione colpisce soprattutto le pensioni superiori a quattro volte il minimo, ossia assegni netti intorno ai 1.650 euro, che non possono essere certo considerati ricchi”.

La Confederazione e i pensionati sottolineano quindi: “L’ordinanza richiama i principi di proporzionalità, adeguatezza e progressività sanciti dalla Costituzione (artt. 3, 36 e 38). E ribadisce che tali diritti non valgono solo al momento della liquidazione della pensione, ma devono essere garantiti per tutta la sua durata, in funzione dell’andamento dell’inflazione”.

Un passo molto importante. “Si tratta di un primo, fondamentale riconoscimento della bontà delle nostre rivendicazioni, ed è frutto di una mobilitazione costante per difendere il potere d’acquisto delle pensioni e la dignità di chi ha contribuito alla crescita del Paese con anni di lavoro e di sacrifici. Ora – concludono Cgil e Spi – tocca alla Corte ristabilire giustizia ed equità. Non si può continuare a colpire sempre gli stessi: i pensionati non sono un bancomat dello Stato”.