A vederlo, a parlarci, ispira fiducia. E proprio la persona che si vorrebbe incontrare se per sventura si fosse costretti in ospedale. Marcello Salvi ha quasi 58 anni, dal 1989 passa il suo tempo di lavoro a occuparsi dei più fragili, all’inizio senza una specializzazione specifica, in residenze assistenziali protette, poi nel 2005 ha conseguito la specializzazione: operatore socio sanitario.

Cosa è? Cosa fa? Sembra una professione non ben definita, eppure sono figure strategiche nelle corsie degli ospedali e spesso sono quasi soli nelle Rsa. E una sorta di evoluzione professionale di quelli che una volta era i portantini, assomigliano a quelli che allora erano gli infermieri generici, che oggi non esistono più. Si prendono cura delle donne e degli uomini più fragili, nei loro bisogni quotidiani, dalla pulizia personale al cibo, affiancano le infermiere e gli infermieri in piccole incombenze di tipo sanitario, trasportano i pazienti ma anche i campioni biologici.

A Marcello piace il suo “mestiere”, non ha mai voluto né fatto altro. E certo è un lavoro faticoso, fisicamente ed emotivamente, eppure sorride sempre e infonde serenità. Proprio ciò che serve a chi è affidato alle sue cure. Nel 2006 è entrato stabilmente al Don Orione, un centro di riabilitazione e una Residenza sanitaria assistita della capitale, ma quando nel 2020 il Policlinico Umberto I ha lanciato un avviso pubblico per reclutare operatori socio sanitari indispensabili ad affrontare l’emergenza Covid, Marcello ha risposto e ha lasciato il “posto fisso nel privato” affrontando la precarietà nel pubblico.

Già, la precarietà. È quel che accomuna gli operatori e le operatrici sanitari reclutati dal 2020 a oggi per fronteggiare la pandemia con armi un po’ meno spuntate di quelle lasciate in eredità nei nosocomi, tutti nell’intero Paese con gravi carenze di personale, eredità di 10 anni di blocco del turn over e di tetto di spesa per il personale imposto alle regioni. Mancavano e ancora mancano medici infermieri, operatori socio sanitari, tecnici e personale amministrativo. Quelli assunti sono tutti precari: a tempo determinato, a partita Iva, in alcuni casi anche in somministrazione. Sono tanti, quasi 50 mila, eppure ancora non sono sufficienti a rispondere a pieno alle esigenze di salute dei cittadini e delle cittadine.

Marcello Salvi racconta questi due anni con intensità, quanto sia indispensabile il suo lavoro, quanto sia stato e ancora sia duro “essere mascherati per difendersi, e allora per farci riconoscere abbiamo i nomi scritti addosso e usiamo i nomi dei pazienti”, ma questo crea un legame che a volte diventa troppo stretto da sopportare, soprattutto quando non si riesce a salvare tutti. E poi la preoccupazione di portare il virus a casa, trasmettere quella malattia - che chi opera nelle corsie degli ospedali sa quanto possa essere cattiva - ai propri familiari. E con la paura che la possibilità di passare da “curante a curato” sia molto reale. A tutto questo si aggiunge la preoccupazione per il futuro. “Cosa chiediamo? – ci dice Salvi – la stabilizzazione”.

Una richiesta giusta per chi si trova in condizione di precarietà, e giusta anche per tutte e tutti noi, la serenità di chi si prende cura e indispensabile per chi è curato. E per loro, grazie alle battaglie del sindacato, una possibilità esiste, l’ha portata con sé la Legge di Bilancio approvata a fine dicembre scorso. L’ articolo 92 infatti recita: “Al fine di rafforzare strutturalmente i servizi sanitari regionali anche per il recupero delle liste d'attesa e di consentire la valorizzazione della professionalità acquisita dal personale che ha prestato servizio anche durante l'emergenza da Covid19”. Insomma, “gli enti del Servizio sanitario nazionale possono assumere a tempo indeterminato, in coerenza con il piano triennale dei fabbisogni di personale, il personale del ruolo sanitario e gli operatori socio-sanitari che abbiano maturato al 30 giugno 2022 alle dipendenze di un ente del Servizio sanitario nazionale almeno diciotto mesi di servizio, anche non continuativi, di cui almeno sei mesi nel periodo intercorrente tra il 31 gennaio 2020 e il 30 giugno 2022”.

Secondo le stime effettuate dall’ufficio studi di Fiaso – la Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere - sono di 47.994 professionisti interessati alla stabilizzazione. In particolare il provvedimento potrebbe riguardare 8.438 medici, 22.507 infermieri e 17.049 operatori sociosanitari e altro personale sanitario (tra cui tecnici di laboratorio, assistenti sanitari, biologi, ecc.).

“Il provvedimento contenuto nella Legge di Bilancio, ci dice Marco Vitelli della Fp Cgil, è certamente positivo e stiamo lavorando perché venga rapidamente attuato. Però ci sono ben mille operatori socio sanitari che rimangono fuori da ogni percorso di stabilizzazione. Sono quelli reclutati con un bando della protezione civile per fare assistenza nelle carceri durante l’emergenza Covid. Sono lavoratori che ricevono un salario, ma formalmente sono stati reclutati con la definizione di volontari e quindi per loro non c’è futuro stabile”.

Marcello Salvi ci saluta, pronto a “mascherarsi” di nuovo e tornare a prendersi cura di chi ha bisogno.