Ne usciremo più diseguali. A quanto pare la pandemia sta amplificando le distanze e le ingiustizie sociali da ogni punto di vista. La prima cartina di tornasole riguarda ovviamente le distanze tra i redditi. Mentre pochissimi miliardari italiani (13 per l’esattezza) riescono a entrare nella prestigiosa lista dei super ricchi di Forbes, tra il 2020 e la fine del 2021 le condizioni economiche delle famiglie italiane sono continuamente peggiorate. È una delle tante notizie contenute nell’ultimo Rapporto Oxfam sulle diseguaglianze nel mondo, in cui vari focus sono dedicati all’Italia, soprattutto dal punto di vista della pandemia sanitaria e della pandemia economica e sociale.

Vediamo che succede ai redditi
Il primo elemento evidente riguarda la concentrazione della ricchezza. Nel primo anno di coronavirus in Italia è cresciuta la quota di ricchezza detenuta dall'1 per cento della popolazione, che supera oggi di oltre 50 volte quella detenuta dal 20 per cento più povero degli italiani. Il 5 per cento più ricco degli italiani deteneva a fine 2020 una ricchezza superiore a quella dell’80 per cento più povero. Nei 21 mesi intercorsi tra marzo 2020 e novembre 2021 il numero dei miliardari italiani della lista Forbes è aumentato di 13 unità e il valore aggregato dei patrimoni dei super-ricchi è cresciuto del 56 per cento, toccando quota 185 miliardi di euro alla fine dell’anno. I 40 miliardari italiani più ricchi posseggono oggi l’equivalente della ricchezza netta del 30 per cento degli italiani più poveri, ovvero di 18 milioni di persone adulte.

Alla fine del 2020 la distribuzione della ricchezza nazionale netta vedeva il 20 per cento più ricco degli italiani detenere oltre due terzi della ricchezza nazionale, il successivo 20 per cento (quarto quintile) era titolare del 18,1 per cento della ricchezza, lasciando al 60 per cento più povero dei nostri concittadini appena il 14,3 per cento della ricchezza nazionale. Il 10 per cento (in termini patrimoniali) della popolazione italiana possedeva oltre sei volte la ricchezza della metà più povera della popolazione.

Confrontando il vertice della piramide della ricchezza con i decili più poveri della popolazione italiana, il risultato appare ancor più sconfortante. La ricchezza del 5 per cento più ricco degli italiani (titolare del 40,4 per cento della ricchezza nazionale netta) era superiore allo stock di ricchezza detenuta dall’80 per cento più povero dei nostri connazionali (32,4 per cento). La posizione patrimoniale netta dell’1 per cento più ricco (che deteneva a fine 2020 il 22,2 per cento della ricchezza nazionale) valeva oltre 51 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20 per cento più povero della popolazione italiana.

La traiettoria della ricchezza
L’evoluzione della quota di ricchezza detenuta dall’1 per cento più ricco degli italiani vedeva a fine 2020, secondo le stime di Credit Suisse, un ritorno dell'1 per cento della popolazione alla quota detenuta nel 2000. Nella prima decade del millennio la quota di ricchezza del percentile più ricco degli italiani aveva visto un calo fino al 2010 (dal 22,1 per cento al 17,3 per cento), seguito da una crescita nei successivi sei anni (fino al picco del 23 per cento nel 2016), una nuova, più lieve, contrazione fino al 2019 e un leggero recupero nel 2020.

Nel periodo 2000-2020 è aumentata di quasi il 40 per cento la soglia d'ingresso nel "top 1 per cento" della distribuzione della ricchezza nazionale, superando nel 2020 la quota di 1,6 milioni di euro. Nei 21 anni intercorsi tra l’inizio del nuovo millennio e la fine del 2020, le quote di ricchezza nazionale netta detenute dal 10 per cento più ricco dei nostri connazionali e dalla metà più povera della popolazione italiana hanno mostrato un andamento divergente. La quota di ricchezza detenuta dal 10 per cento della popolazione è cresciuta di 2,5 punti percentuali nel periodo 2000-2020, mentre la quota della metà più povera degli italiani ha mostrato un trend decrescente, riducendosi complessivamente negli ultimi 21 anni di 4,6 punti percentuali. 

Le radici della povertà
Secondo il Rapporto Oxfam sull’Italia, per comprendere davvero la curva della diseguaglianza, non si può dare quindi tutta la colpa al virus. L’inversione delle fortune degli italiani è iniziata infatti dalla metà degli anni Novanta, con una marcata divergenza tra le quote di ricchezza del 10 per cento più ricco e della metà più povera della popolazione italiana. Una tendenza che non si è allentata nel biennio 2020-2021, con le famiglie più povere incapaci d'intercettare la significativa crescita del risparmio registrata durante la pandemia.

Alla riduzione delle spese per consumi è corrisposto così nel 2020 un significativo aumento dell’incidenza della povertà assoluta. Oltre un milione d'individui e 400 mila famiglie sono sprofondati nella povertà, sebbene su questo disastro sociale possa aver inciso maggiormente – a differenza della precedente recessione – il cambiamento pandemico delle abitudini di consumo rispetto alla perdita di potere d’acquisto, pur significativa, delle famiglie.

“Il quadro sociale avrebbe potuto essere ancor più grave, se il governo non avesse potenziato le misure di tutela esistenti e messo in campo strumenti emergenziali nuovi di supporto al reddito", ha dichiarato la responsabile Campagne di Oxfam Italia Elisa Bacciotti: "I massicci trasferimenti hanno anche attenuato le disuguaglianze retributive e reddituali, ma le prospettive a breve restano incerte, data la temporaneità degli interventi e i rischi, tutt’altro che scongiurati, di un ritorno allo status quo pre-pandemico. In primis, per quanto riguarda il nostro mercato del lavoro profondamente disuguale e che genera, in modo strutturale, povertà da decenni”.

Fare la spesa è diventato più difficile
Nel Rapporto Oxfam si dà atto al governo italiano di aver tentato di sostenere in qualche modo le famiglie. Ma nonostante le ampie forme di sostegno messe in campo per favorire la capacità di acquisto delle famiglie nel biennio pandemico, la dinamica negativa dei redditi primari delle famiglie nel primo anno della pandemia (-7,3 per cento rispetto al 2019, un calo pari a 93 miliardi di euro) ha causato una forte contrazione della spesa per i consumi delle famiglie italiane.

La compressione dei consumi ha determinato a propria volta un aumento dell’incidenza della povertà assoluta nel nostro Paese. Le famiglie in povertà assoluta sono passate da 1,6 milioni nel 2019 a 2 milioni nel 2020 (con una variazione dell’incidenza annua dal 6,4 per cento al 7,7 per cento). A livello individuale oltre 1 milione di nuovi poveri (per un totale di 5,6 milioni) sono rilevati dall’Istat nel 2020 (con l’incidenza della povertà assoluta individuale che ha toccato quota 9,4 per cento, in aumento di 1,7 punti percentuali dal 2019).

Per fortuna che c’è il lavoro (povero)
Un altro dato interessante contenuto nel Rapporto, che conferma tutte le analisi della Cgil di questi mesi, riguarda il mercato del lavoro. La ripresa occupazionale del 2021 non è trainata da lavoro stabile e rischia di riproiettarci nel mondo pre-pandemico, che ha visto crescere la quota dei working poor di oltre 6 punti percentuali dall’inizio degli anni Novanta.

“Sono diversi i motivi, non rimossi dalla pandemia, che rendono oggi il lavoro insufficiente a condurre una vita dignitosa per tante persone", commenta ancora Elisa Bacciotti: "L’espansione di lungo corso di occupazioni in settori a bassa produttività e con salari insufficienti, la prevalenza nel tessuto produttivo di piccole e micro imprese con propensione all’innovazione mediamente molto debole e sottoutilizzo del capitale umano, le strategie competitive delle imprese italiane basate sulla compressione del costo del lavoro, la deregulation contrattuale, la diffusione del part-time in prevalenza involontario”.

L’equità si può costruire
Nel Rapporto dell'organizzazione, un movimento che si batte da anni in tutto il mondo contro le diseguaglianze e le ingiustizie sociali, si tenta di andare oltre la descrizione asettica dei numeri e delle percentuali della diseguaglianza. Sul sito dell’organizzazione è possibile quindi leggere anche le proposte politiche d'intervento per tentare di contrastare il fenomeno. Nell’agenda proposta alla politica si parla di ammodernamento dei sistemi di protezione dei redditi, di ridare potere al lavoro con interventi pre-distributivi che limitino la svalutazione del fattore lavoro ed escludano il ricorso a forme contrattuali atipiche e poco remunerate anche attraverso l’innalzamento dei salari minimi. Si dovrebbe poi lavorare alla costruzione di sistemi fiscali equi e progressivi e di trasferimenti per il supporto delle famiglie con figli e reddito di cittadinanza.

Per quanto concerne l’assegno unico, gli esperti di Oxfam suggeriscono di valutare in itinere la riduzione della componente patrimoniale dell’Isee nella determinazione dell’importo dell’assegno e di estendere per almeno il biennio 2023-2024 la clausola di salvaguardia oltre i 25 mila euro di Isee, per garantire che nessun nucleo familiare riceva un supporto inferiore ai trasferimenti previgenti.

Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, l’auspicio è che si possa ancora trovare spazio per rivedere almeno i criteri di accesso e il calcolo dell’importo per non penalizzare le famiglie numerose e con minori, e per ridurre l’aliquota minima effettiva per i beneficiari della misura che inizino un’attività lavorativa. Sullo sfondo la necessità in generale di valorizzare il capitale umano, favorendo l’accesso alla conoscenza. Solo così si potranno creare posti di lavoro qualificato basati sull’innovazione.