Come spiega in questa video intervista il presidente della Casa della Carità di Milano, don Virginio Colmegna, la povertà in Italia è cominciata a crescere con l’affacciarsi della crisi del 2008. Non che prima non ci fosse, però da allora i numeri si sono dilatati. Il reddito di cittadinanza non l’ha abolita ma sicuramente, assieme al progenitore Rei (reddito di inclusione), ha contribuito a contenerla. Infatti gli ultimi dati Istat disponibili - diffusi lo scorso giugno e riferiti al 2019 - raccontano che prima del coronavirus i poveri assoluti erano 4,6 milioni di individui, pari al 7,7% della popolazione. Certo, rispetto all’anno precedente risultano diminuiti isto che ammontavano all’8,4%, ma è una dimensione impressionante alla quale vanno aggiunti quanti si trovano sulla soglia della povertà e non se la passano bene.

Le più povere sono le famiglie meridionali e quelle numerose, e non è un caso se poveri sono anche gli uomini e le donne meno istruiti. Sempre secondo l’Istituto di statistica la povertà colpisce l'8,9% dei nuclei giovani, composti da chi ha meno di 34 anni e "solo" il 5,1% di quelli anziani . Inoltre ben 1 milione e 100 mila bimbi e ragazzi si trovano in stato di indigenza. Infine c'è il lavoro perché anche chi ha un’occupazione non sempre può dirsi salvo. Precarietà, nero o grigio, part-time rendono povero il lavoro. Basti pensare che il 10,2% delle famiglie operaie è sotto la fatidica soglia.

Da quando poi è arrivata la pandemia, la situazione è precipitata. Secondo l’ultimo Rapporto della Caritas “Tra marzo e maggio 2020,  450 mila persone sono state sostenute dalle Caritas diocesane. Tra i beneficiari dell’assistenza circa il 30% è rappresentato dai cosiddetti nuovi poveri”. E in questo caso i più colpiti sono proprio i lavoratori. Sempre secondo il rapporto Gli anticorpi della solidarietà “Tra gli assistiti del periodo marzo-maggio prevalgono i disoccupati, le persone con impiego irregolare fermo a causa delle restrizioni imposte dal lockdown, i lavoratori dipendenti in attesa della cassa integrazione e i lavoratori precari e intermittenti che non godono di ammortizzatori sociali”.

I minori e le donne sono i soggetti più esposti anche alla povertà alimentare. Lo afferma ActionAid in una recente ricerca che rileva come “Il lockdown ha aumentato l’insicurezza alimentare per le famiglie, colpendo in particolare coloro che vivevano in condizioni di precarietà. La perdita del lavoro per interi nuclei famigliari dall’inizio della pandemia ha spinto verso la povertà nuove fasce della popolazione a rischio, esponendole alla mancanza di cibo adeguato. A fronte dell’aumento delle richieste di aiuto, solo una piccola parte delle famiglie in stato di bisogno ha ricevuto assistenza tramite i buoni alimentari, la misura di emergenza varata dal governo e erogata dai comuni".

Nel resto del mondo la situazione non va meglio e secondo le previsioni di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale entro il 2021 cadranno in povertà oltre 100 milioni di persone. Aumenta il numero di chi non ce la fa, ma aumenta anche il numero dei miliardari e soprattutto aumentano i miliardi a loro disposizione. Secondo Ubs Banca i 2158 miliardari contati nel 2017 a luglio di quest’anno sono diventati 2189 ma soprattutto le loro ricchezze sono cresciute del 27,5%.

Che fare? Per provare a rispondere a questo interrogativo abbiamo rivolto alcune domande anche a Giordana Pallone, dell’area welfare della Cgil. Innanzitutto le abbiamo chiesto un primo bilancio delle misure contro la povertà volute dal governo, il reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza, nato a seguito della pandemia. Secondo Pallone: “Le due misure, seppur diverse, hanno in comune un elemento importante ovvero aver dato una parziale risposta alla popolazione in difficoltà: a settembre 2020 il RdC ha raggiunto 1,3 milione di famiglie per un totale di 3,1 milione di persone, dando un beneficio medio mensile di 525 euro; il ReM al 31 luglio 2020 (non è conteggiata dunque la terza mensilità introdotta dal dl "agosto") è stato erogato a 290mila nuclei familiari per complessive 600mila persone. In totale, dunque, durante la crisi, le due misure hanno sostenuto economicamente quasi 4 milioni di persone in difficoltà. Un numero che, nonostante le criticità degli strumenti, difficilmente può far ignorare la necessità di disporre nel nostro Paese di una misura di contrasto alla povertà capace di rispondere a tante persone con un sostegno economico. Per quanto concerne il RdC - il Rem è una misura ormai 'finita', salvo ulteriori proroghe -, oltre a correggere le criticità dei parametri di accesso e di erogazione del beneficio, la vera sfida è realizzare percorsi di inclusione sociale e lavorativa che accompagnino l'erogazione del beneficio e conducano le persone fuori dalla condizione di povertà. Per vincere questa sfida è imprescindibile un rafforzamento dei servizi pubblici territoriali”.

Questo è ciò che è stato fatto per tamponare l’emergenza, ma occorrono strumenti e politiche per affrontare il medio e lungo periodo. Ancora Giordana Pallone afferma: “L'unica strategia per contenere la povertà è mettere al centro delle politiche nazionali il sistema di welfare pubblico e universale investendo nelle politiche sociali. La povertà deve essere contrastata garantendo alle persone in tale condizione un sostegno economico e una fitta rete di servizi pubblici territoriali capaci di attivare percorsi di inclusione sociale che tengano conto della multidimensionalità dei loro bisogni e percorsi di inclusione lavorativa adeguati e non vincolati a specifiche ed eccessive condizionalità. La lotta alla povertà non può prescindere dal rafforzamento dei servizi sociali e dalla realizzazione di un sistema integrato di interventi e servizi che renda l’infrastruttura sociale territoriale capace di rispondere e prevenire le necessità dell’intero nucleo familiare in condizione di bisogno (sanitario, educativo, assistenziale, abitativo…)”.

“Se è vero, come ci siamo detti allo scoppio della pandemia - conclude la dirigente sindacale - che nulla dovrà essere come prima, allora non è pensabile un ritorno alla piena normalità che non metta al centro, oltre alle necessità economiche e produttive, anche i bisogni sociali e che conseguentemente non metta in atto tutte le politiche necessarie affinché la ripresa sia accompagnata dal riconoscimento dell’onere pubblico di rendere esigibili quei diritti fondamentali a garantire una dignitosa esperienza di vita a tutti. Quei diritti da assicurare, innanzitutto, attraverso i livelli essenziali delle prestazioni sociali la cui definizione non è più procrastinabile né condizionabile alle risorse 'date', ma solo ai diritti stessi che vanno tutelati al fine di assicurare la liberazione dai bisogni e l’uguaglianza delle opportunità”.