Hanno le idee molto chiare i lavoratori di Treofan Terni e per questo sono altamente preoccupati. Dopo la decisione definitiva della multinazionale indiana Jindal di chiudere lo stabilimento di Battipaglia (l’auspicio è che si trovi un compratore per proseguire l’attività industriale), le nubi sul futuro dello stabilimento umbro (150 dipendenti) sono tutt’altro che diradate. Le preoccupazioni di lavoratori e sindacati sono emerse con chiarezza nell’assemblea che si è svolta mercoledì 6 marzo presso la fabbrica del polo chimico di Terni, con la partecipazione dei rappresentanti nazionali, regionali e provinciali di Filctem Cgil (Sergio Cardinali e Marianna Formica), Femca Cisl (Luciano Tramannoni e Fabrizio Framarini) e Uiltec Uil (Venere Balla e Doriana Gramaccioni). 

“In primo luogo - hanno sottolineato i rappresentanti sindacali - stiamo portando avanti una vertenza senza avere un vero interlocutore, perché Jindal comunica solo per email e l’amministratore delegato di Treofan,  Manfred Kaufmann, ha partecipato agli incontro al Mise solo in video. Poi - hanno aggiunto - c’è un piano industriale presentato dall’azienda per giustificare la chiusura di Battipaglia che è una barzelletta, 10 slide messe insieme con numeri che non tornano e non possono bastare”. 

In questo quadro, lo stabilimento di Terni, al quale sono state date sulla carta garanzie di continuità per un periodo di 3 anni, è, secondo i sindacati, fortemente a rischio. In primo luogo perché 1,5 milioni di euro di investimenti all’anno “non bastano nemmeno per le manutenzioni ordinarie” e poi perché “sta continuando l’operazione di spostamento delle produzioni a maggior valore aggiunto e delle competenze verso gli altri stabilimenti, quello di Brindisi (sul quale la Regione Puglia ha fatto un investimento pubblico notevole) e quello in Germania”. 

La conseguenza è la situazione di “sbando” nella quale Terni si trova da alcuni mesi, come confermato dai lavoratori in assemblea, una situazione che alimenta i dubbi su una possibile "strategia” di Jindal finalizzata a riproporre sul sito umbro gli scenari già visti a Battipaglia.   

“Quali armi abbiamo per contrastare questo scenario?”: questa la domanda centrale emersa dall’assemblea. La risposta de sindacati è stata articolata: “In primo luogo dobbiamo fare i compiti a casa - hanno detto i rappresentanti di Filctem, Femca e Uiltec - e preparare un documento dettagliato nel quale chiedere conto all’amministratore delegato, prima del prossimo incontro al Mise, di tutte le incongruenze del finto piano industriale. Poi, qualora non arrivasse risposta - hanno concluso i sindacati - dobbiamo prepararci ad usare le armi della mobilitazione, consapevoli che questo stabilimento ha delle produzioni che stanno molto a cuore all’azienda e che quindi, stavolta, abbiamo il coltello dalla parte del manico”.