Taranto si appresta a vivere il Natale più duro e più triste. Lo scrive senza mezzi termini il segretario generale della Camera del Lavoro, Giovanni D’Arcangelo, che affida alla stampa il suo bilancio del 2025, mettendo in primo piano l’enorme questione lavoro e ricordando a tutti la situazione nella quale versa la città. Ripercorrendo le tappe di una crisi già conclamata e le tante occasioni perse.

Taranto vive un momento grave crisi dell’acciaio, tra condizioni croniche e crollo della filiera dell’acciaio

Con “il generale inverno alle porte”, “al di là degli slogan aggressivi contro il diritto di sciopero, le boutade sul weekend lungo e i ‘soliti comunisti’ – sono le parole del segretario – resta implacabile la realtà di un territorio che, come Taranto, area di crisi complessa, si appresta a vivere il momento grave di una recessione economica dovuta a condizioni croniche e ad acuzie legate allo scompenso creato dalla messa in discussione della filiera dell’acciaio”.

Le occasioni perse

Giovanni D'Arcangelo, segretario generale Cgil Taranto

L’economia e l’occupazione di un intero territorio restano in bilico, mentre, scrive D’Arcangelo, “si favoleggia su una economia e un’occupazione che verrà”. Il dirigente cita lo “spettro” dei 40 ex dipendenti della Cementir e si chiede perché non si faccia lì un vero “test” di riconversione industriale di cui tanto si sente discutere. “Noi – ricorda D’Arcangelo – avevamo proposto, proprio riguardo alla Cementir, di lavorare su un centro produttivo dell’idrogeno (con i fondi europei del Pnrr) o sulla realizzazione di uno stabilimento di inertizzazione dell’amianto”. Nella sua analisi, il segretario cita gli ex TCT (Taranto Container Terminal) “ai quali viene promesso un grande futuro che non si concretizza mai, a partire dalla formazione stessa. Bonifiche, rioccupazione e lavoro green hanno bisogno di investimenti e volontà politiche che una transizione solo annunciata non è stata ancora in grado di traguardare”.

“A Taranto il sistema collassa”. Non solo l’Ilva

“Leggiamo in questi giorni sui giornali ciò che purtroppo preannunciamo da tempo: il sistema collassa e aumenta disoccupazione, lavoro precario e ricorso alla cassa integrazione e a strumenti di sostegno al reddito. Addirittura c’è chi sostiene su questo territorio che chi è in cassa integrazione è un privilegiato, parlando a braccio di cose che non conosce – dice D’Arcangelo – e mentre la polveriera Ilva rischia di implodere portando a picco per primi i lavoratori dell’appalto, come testimonia il preannuncio di licenziamenti per Semat Sud e Pitrelli, preoccupano non poco le vertenze che riguardano i precari della giustizia in scadenza a giugno 2026, quelli dell’appalto al Comune di Taranto in attesa di una proroga che sposta l’ansia qualche mese più avanti e quelli della Cittadella della Carità senza salario, senza futuro, senza certezza”. Persone, mai numeri secondo il massimo esponente della Cgil ionica.

“Lavoro e rivendicazioni sindacali sembrano essere il bersaglio di questo governo”

Parliamo di migliaia di lavoratrici e lavoratori che irrobustiranno l’esercito di chi non ce la fa ad arrivare a fine mese ed è costretto a ricorrere al welfare familiare e a quello sociale – commenta –, quest’ultimo in grosse difficoltà dopo il calo vertiginoso del potere d’acquisto delle pensioni. Ma l’elenco delle vertenze irrisolte rischia di stonare con la natività che preannuncia il Natale. Il lavoro e le rivendicazioni sindacali sembrano apparire il gioco a freccette di questo Governo – dichiara –, perché mentre scompare il requisito delle ricadute occupazionali per la spesa dei soldi europei del Just Transition Fund, anche chi lavora oggi è in pericolo. Penso agli autisti dei pullman della città di Taranto, fisicamente sotto attacco e vittime delle sassaiole e degli atti di vandalismo estremo”.

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Se credessimo al Natale, come valore di solidarietà universale, oggi Cristo nella mangiatoia di Taranto deciderebbe di non rinascere – conclude amaramente D’Arcangelo –, ma da credenti o no, dovremmo tentare di salvare ogni pastore, ogni fabbro, ogni lavandaia, ogni panettiere e ogni lavoratrice e ogni lavoratore di quel presepio che oggi, con il piatto vuoto, ha ben poco da gioire del riconoscimento Unesco per la cucina italiana. Governo e rappresentanti istituzionali locali, a partire dai parlamentari eletti in terra ionica, sanno bene di cosa parliamo”.