Li prendevano a cinghiate sulle mani se sbagliavano le lavorazioni. Li alloggiavano in dormitori sovraffollati, nei quali non erano rispettate le più elementari norme igienico-sanitarie. Li facevano lavorare su macchinari non conformi alla sicurezza, pericolosi per la loro incolumità, con turni massacranti anche di 15 ore al giorno, sei giorni la settimana, per uno stipendio di 800 euro al mese, corrisposto in maniera irregolare. Nessun diritto sindacale, né riconoscimento di malattia o ferie, riposi settimanali, tredicesima.

Questo era l'inferno quotidiano dei lavoratori di una pelletteria di Poggio a Caiano, provincia di Prato,  che producevano borse e accessori per una nota griffe straniera. Succedeva a 17 chilometri da Montemurlo, dove Luana D'Orazio pochi giorni fa ha perso la vita in modo atroce, riaccendendo i riflettori sulla questione della sicurezza sul lavoro.

Vittime tre cittadini di origine africana che hanno trovato il coraggio di denunciare le proprie condizioni drammatiche grazie al sostegno della Camera del Lavoro di Prato. Tramite la Cgil sono arrivati a raccontare tutto alle Fiamme Gialle. Gli aguzzini erano due cittadini di origine cinese, arrestati per sfruttamento del lavoro ed evasione fiscale. Denunciati insieme a loro, per concorso nel reato, due amministratori italiani dell'azienda committente e sequestrati beni per ingenti importi. Benché intestata a una prestanome, la ditta è risultata di fatto gestita da una coppia di coniugi di origine cinese, inquadrati quali dipendenti, che avevano operato precedentemente, in una sorta di continuità aziendale, attraverso altre imprese dislocate nel medesimo immobile, una subentrata all'altra con nuova denominazione e partita Iva, al fine di sottrarsi ai controlli delle Istituzioni e ai debiti maturati con l'erario.

Tuttavia l'indagine si connota per un ulteriore e significativo aspetto, sottolinea la Gdf in un comunicato: sono stati infatti denunciati anche due imprenditori italiani, amministratori della società, con sede nella provincia di Firenze, che - per far fronte a contratti di fornitura stipulati con una nota griffe della moda straniera - subcommissionava alla pelletteria di Poggio a Caiano la realizzazione di borse e accessori, così utilizzando la manodopera sfruttata. Sulla base delle attuali risultanze investigative si è potuto ipotizzare che gli amministratori dell'azienda italiana fossero infatti consapevoli - alla pari dei gestori di fatto e di diritto della ditta a conduzione cinese - dello sfruttamento cui i lavoratori venivano sottoposti. I due cittadini di origine cinese, responsabili dello sfruttamento lavorativo e dell'omessa presentazione di dichiarazioni fiscali, sono stati sottoposti alla misura cautelare degli arresti domiciliari richiesta dalla locale Procura e disposta dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Prato. I due imprenditori italiani e la prestanome della pelletteria, formale titolare dell'impresa, sono stati denunciati a piede libero. 

Le Fiamme Gialle hanno dato esecuzione a un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal gip di Prato, su richiesta della Procura, finalizzato alla confisca del profitto del reato di evasione fiscale, per un importo complessivo pari a circa 902 mila euro, corrispondente al totale delle imposte sottratte all'erario. Il sequestro ha riguardato denaro contante nonché i beni riconducibili alla coppia, tra i quali una villa e un terreno. Sono stati eseguiti anche sequestri aventi ad oggetto i macchinari impiegati nella Pelletteria per dare attuazione alle lavorazioni in condizioni di sfruttamento. Fondamentale, ai fini del buon esito dell'operazione, sottolinea la Gdf, si è rivelata la collaborazione fornita, nella fase finale delle investigazioni, dalle unità pratesi di Asl, Inps e Ispettorato del Lavoro, a riprova del fatto che un efficace contrasto di fenomeni illeciti della specie non può prescindere dalle diversificate competenze dei vari organi ispettivi.

"Sono anni che raccogliamo denunce - ci racconta Massimiliano Brezzo, segretario della Filctem Cgil pratese, la categoria dei tessili che ha aiutato i lavoratori -. Il problema è che ne va avanti una ogni cento di queste denunce. Questa, ad esempio, ci ha messo un anno e mezzo, è stata fatta a ottobre del 2019, e per tutto il periodo successivo questi lavoratori hanno continuato a lavorare in queste condizioni per un altro anno, fino a settembre 2020, quando in piena pandemia sono stati licenziati. Tant'è che con loro siamo anche in tribunale per il ricorso contro il licenziamento".

"Il problema è che questo episodio fa parte di un sistema. È un caso di scuola di come funziona tanta parte della moda italiana: lavoratori sfruttati di origine africana che lavorano in un'azienda subappaltatrice cinese, che prende la commessa da appaltatore italiano, che lavora per una grande griffe".

"E poi ci dicono che il problema è il costo del lavoro, voglio vedere il prezzo di quei prodotti in negozio e quanto viene riconosciuto alle aziende e a chi rimangono i soldi in tasca, dove si annida il guadagno".

"Il problema vero - spiega massimiliano Brezzo - è che dal punto di vista sindacale hai delle armi spuntate, perché ci vuole un anno e mezzo ad arrivare in fondo a una denuncia. Per questo abbiamo chiesto un incontro al governo per fare di Prato un territorio di sperimentazione per il contrasto allo sfruttamento lavorativo, ma non abbiamo ricevuto risposta. Abbiamo fatto protocolli, l’anno scorso con la procura, perché un’altra denuncia è arrivata a buon fine dopo due anni. Nel frattempo al lavoratore gli era scaduto il permesso di soggiorno e il rischio era che partisse la prima udienza senza il denunciante. Sono riuscito a rintracciarlo in Ghana e ho fatto un accordo con la procura di Prato che nei casi di denunciante straniero, la procura chieda alla questura di concedergli un permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Lo Stato non è strutturato e non vuole strutturarsi, manca la volontà politica. Eppure se si facessero rapidamente le inchieste e i processi e si facesse valere la responsabilità in solido delle griffe fino a fargli pagare stipendi e contributi evasi, la volta successiva controllerebbero. Così si smonterebbe il sistema".