Palermo, Cagliari, Milano, Roma, Napoli, Bologna, Venezia. Da Nord a Sud, passando per il Centro, si sono fermati oggi, 3 giugno, i dipendenti di Poste Italiane. Uffici postali chiusi e presidi in tutta Italia, per lo sciopero promosso da Slc Cgil e UilPoste. Come a Roma, dove sindacati e lavoratori si sono dati appuntamento all’Eur, sotto la sede della Direzione Generale Corporate. Questo sciopero un primo importante risultato lo ha già ottenuto: le organizzazioni sindacali sono state convocate dall’ad di Poste Italiane, Matteo Del Fante, il 26 giugno. “A Poste Italiane, che potrà misurare i dati effettivi di adesione allo sciopero, vogliamo dire che questo è solo l'inizio. – si legge in una nota congiunta di Slc Cgil e Uilposte – L'azienda deve sapere che se non ci sarà un netto cambio di rotta rispetto al recente passato, ci saranno altre giornate come questa”.
Nicola Di Ceglie, segretario nazionale Slc e responsabile area Servizi postali, quali sono nel dettaglio le ragioni di questo sciopero?
É stata la prima volta da 9 anni a questa parte che abbiamo scioperato, perché c’è in gioco un tema cruciale: la privatizzazione. Ad oggi il controllo pubblico supera il 51%, ma temiamo fortemente che si vada sempre più verso la svendita di azioni della società. Poste Italiane è un'azienda partecipata, non è un'azienda privata, quindi è finanziata con soldi pubblici, e questo è un passaggio molto importante se si vuole comprendere il senso della nostra mobilitazione, che come Slc Cgil abbiamo promosso insieme a UilPoste. Stiamo cercando di aprire il vaso di Pandora, di scardinare questa immagine stereotipata e pattinata di una grande azienda che punta a diventare un'azienda paese, un'azienda volano strategica, ma poi vive di grandi contraddizioni. E porta avanti operazioni che vanno a discapito dei lavoratori, come la vicenda Tim, di cui Poste Italiane è diventato il maggior azionista.
Il costo di queste grandi operazioni, dunque, lo pagano i lavoratori. In che modo?
Intanto con salari bassi. In questo momento ci aspetta un importante appuntamento per discutere del premio di risultato e della contrattazione di secondo livello. Ma in Poste i precari sono aumentati in maniera esponenziale, così come i tempi determinati. L'azienda si sta dimostrando disattenta e distratta anche sulla questione della salute e sicurezza. Questo atteggiamento non fa che rendere sempre più instabile e insicuro il destino delle lavoratrici e dei lavoratori.
C’è anche un tema politico, relativo alle relazioni industriali. A proclamare lo sciopero sono state solo due sigle confederali, Slc e UilPoste.
C’è sicuramente un problema di natura politica e che riguarda la tenuta delle relazioni industriali. Un sistema di interazione che nel caso specifico definirei “feudale”, dove alcune sigle sindacali, essendo maggioranza al tavolo, dettano le regole, soffocando qualunque forma di pluralismo e di partecipazione. Questo genera un vulnus democratico non indifferente.
Da un lato i salari e la precarietà. Dall’altro la riorganizzazione e il taglio degli uffici postali in tutta Italia, soprattutto nelle periferie e nelle aree interne. Sono due facce dello stesso processo di privatizzazione?
Certamente. Poste ha avviato tre maxi riorganizzazioni tra novembre e dicembre del 2024, che sono avvenute sulle spalle e alle spalle dei dipendenti, nel senso che non sono stati neanche informati formalmente dei cambiamenti, attraverso un normale percorso assembleare. La riorganizzazione riguarda la logistica, gli sportelli, e il DTO, acronimo di "Distribution Technology Office. In sostanza il centro di servizi responsabile della gestione e assistenza tecnica dei siti territoriali e del coordinamento dell'assistenza specialistica ai clienti. Su questi aspetti noi di Slc Cgil e UilPoste siamo stati totalmente esclusi dalla discussione. L’azienda ha chiuso un accordo con la Cisl e altri tre sindacati autonomi, estromettendo dal tavolo Cgil e Uil, che avevano espresso perplessità su alcuni provvedimenti gestiti in maniera unilaterale da Poste, e che a nostro giudizio avranno ripercussioni gravi sulla vita delle persone. Noi siamo di fronte ormai a un mostro mitologico, un Minotauro: metà azienda e metà sindacato. Ecco perché oggi siamo stati in diverse piazze italiane per scioperare, e dire che non ci stiamo.