“Un battito d’ali di una farfalla a Tokio fa crollare la Borsa a New York”. È la metafora efficace di chissà quale esperto di economia per far capire quanto il mondo sia ormai piccolo, così piccolo che non possiamo permetterci di essere indifferenti agli effetti che provoca un evento apparentemente lontano migliaia di chilometri. Anche perché, volenti o nolenti, quegli effetti si occuperanno di noi, eccome. Così la crisi finanziaria d’oltreoceano si abbatte sull’economia reale di casa nostra e si trasforma in cassa integrazione, licenziamenti e chiusure di aziende, come ben sanno i 333 ingegneri e ricercatori del Centro ricerche Motorola di Torino, che da un giorno all’altro si sono ritrovati senza lavoro. In un battito d’ali, appunto. In Piemonte, e a Torino in particolare, assistiamo a una crisi che viaggia oltre i limiti di velocità. Nel primo semestre i dati delle esportazioni e della produzione erano positivi, mentre negli ultimi due-tre mesi è cambiato il quadro. La crisi si sta estendendo a macchia d’olio in tutti i settori, nelle grandi e piccole imprese, e le realtà produttive che fino a poche settimane fa avevano concordato con i sindacati l’aumento d’occupazione o di stabilizzazioni, oggi dichiarano contrazioni di mercato e un prevedibile utilizzo di cassa integrazione ordinaria.

Gli stessi settori (come l’edilizia) che nella crisi precedente avevano avuto un ruolo anticiclico, non attraversano un buon periodo e ci vuole poco a capire cosa capiterà delle cig già aperte nell’auto e nell’indotto, dalla gomma al tessile. Insomma, la crisi finanziaria si è innestata su debolezze strutturali preesistenti del nostro sistema e su una fase economica già tiepida per effetto del calo della domanda interna. Un dato difficile da stimare complessivamente riguarda il lavoro precario. Sono proprio loro, quelli che il modello della flessibilità sfrenata giudicava indispensabili, le prime vittime del terremoto economicofinanziario, privi di qualsiasi tipo di paracadute sociale. Al momento, si stima in 3.800 i lavoratori non standard che nei prossimi mesi saranno lasciati a casa in Piemonte, ma è un dato che probabilmente pecca per difetto.

Senza dimenticare la situazione dei migranti, un altro dei problemi più urgenti che la crisi pone: per loro la recessione avrà effetti devastanti, dal momento che la stragrande maggioranza di essi è impiegata in regione nei lavori interinali. Per fronteggiare la crisi, la presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso, accogliendo le richieste di Cgil, Cisl e Uil regionali, con una lettera del 17 novembre scorso ha chiesto al governo e al ministro del Lavoro “un allargamento dell’ombrello protettivo assicurato dagli ammortizzatori sociali standard delle aziende cassintegrabili mediante il raddoppio delle settimane di cig ordinaria utilizzabili dalle imprese, da 52 a 104, e la possibilità di proroga a 24 mesi dei trattamenti di cassa straordinaria per crisi aziendale giunti a esaurimento”, assieme alla deroga ai trattamenti d’indennità di disoccupazione a favore dei lavoratori precari lasciati a casa al termine del periodo contrattuale previsto, “siano essi interinali, tempi determinati o quant’altro”.

Ma non solo. Accanto alle misure eccezionali e straordinarie, è partito anche il Patto per lo sviluppo sostenibile 2008-2010, sottoscritto il 14 ottobre scorso dalla Regione, da Cgil, Cisl, Uil e Ugl piemontesi, dalle autonomie locali e dalle associazioni datoriali. L’accordo disegna la cornice strategica e unitaria di tutti gli atti di programmazione regionale, con particolare riferimento ai programmi da realizzare con l’utilizzo dei fondi comunitari e agli strumenti di programmazione negoziata, ma soprattutto contiene una riduzione dell’aliquota dell’addizionale regionale Irpef a favore dei redditi fino a 22.000 euro, con l’impegno di rimodulare le fasce per scaglioni di reddito, così come richiesto dai sindacati confederali. La firma del Patto ha fatto praticamente da battistrada, due settimane più tardi, all’insediamento del Comitato d’indirizzo anticrisi, composto dalla Regione, dai sindacati, dalle associazioni industriali, bancarie e commerciali piemontesi, per discutere le misure d’intervento verso le imprese e le famiglie in difficoltà, che a causa della crisi si sono viste ridurre il loro reddito. Si pensa a sconti sulle tariffe delle bollette, riduzioni legate alla dichiarazione Isee, alla sospensione dei mutui per un periodo definito.

A fugare ogni dubbio sulle difficoltà economiche delle famiglie piemontesi è arrivato negli ultimi giorni il rapporto dell’Ires (l’Istituto di ricerche economiche e sociali della Regione), che certifica il Piemonte in coda al gruppo di testa delle regioni italiane e in ritardo rispetto alle regioni europee più avanzate. Inquieta che il reddito familiare sia più basso del 10 per cento rispetto a Lombardia ed Emilia- Romagna, ma preoccupa ancor di più la quantità di famiglie povere: il 7 per cento rispetto al 4,7 della Lombardia, al 5 del Veneto e al 3,9 dell’Emilia. Una povertà che si accompagna ad altri dati strutturali: una più bassa educazione superiore e un più modesto accesso a Internet.

Ma c’è di più: i giovani sotto i 29 anni sono disoccupati più che in altre regioni e lavorano meno che nel resto dell’Europa: 12 su 100 tra i 15 e i 19 anni, contro i 28 dell’Europa e i 44 della Gran Bretagna. Non desta minori preoccupazioni l’analisi dei singoli settori. Nel metalmeccanico (dati aggiornati al 10 novembre) sono 471 le imprese in cassa integrazione, delle quali 390 a Torino, per un totale di quasi 45.000 lavoratori coinvolti: un mese fa erano “solo” 15.000. Nel comparto auto si sono concluse da poco le due settimane di cig per 3.500 lavoratori alla Fiat Mirafiori e per 1.200 all’Iveco Powertrain, mentre saranno in cig fino al 31 dicembre i 1.400 dipendenti di tre dei quattro stabilimenti Pininfarina, alla prese con una difficile situazione finanziaria che vede la carrozzeria torinese esposta per oltre 680 milioni di euro nei confronti delle banche creditrici. Senza contare le difficoltà di realtà storiche come la Bertone (1.246 dipendenti in cig), a cui si devono sommare le scelte di aziende, quali la Simat Abrasivi di Grugliasco (33) e la Axon di Rondissone (65), che hanno comunicato la chiusura di stabilimenti o la cessazione della produzione. Nel settore della gomma-plastica le situazioni più critiche si registrano a Torino e nell’Alto Novarese. Negli ultimi sei mesi è triplicato il numero delle aziende interessate dalla cig, con 5-6.000 lavoratori coinvolti. E se dovesse continuare questo trend c’è il rischio che in Piemonte, entro il prossimo anno, ci sia una perdita del 10 per cento dei posti di lavoro nell’intero settore.

Non vanno meglio le cose nell’industria tessile, coinvolta in una sorta di ristrutturazione permanente, con un elevato numero di aziende interessate da tempo a processi di riduzione del personale. L’esplodere della recente crisi dei consumi sta determinando per ora un incremento del ricorso alla cig, stimabile in circa il 30 per cento a livello regionale, con punte del 50 in alcune zone del Biellese. Anche il commercio subisce gli effetti della riduzione di consumi e quindi delle vendite. Nell’ambito del settore, diverse aziende del terziario in senso lato stanno avviando processi di riorganizzazione o di forte ridimensionamento: la già citata Motorola, Gencar, Autos, Gabetti, i nomi più noti. In questo caso, non vi sono ammortizzatori sociali, salvo eventualmente la cigs in deroga, e la scelta più immediata delle aziende è quella dei licenziamenti puri e semplici. A livello regionale, si possono contare a oggi tra gli 800 e i 1.000 esuberi dichiarati.