Oggi, venerdì 19 aprile, è il giorno dello sciopero nazionale dei 4.200 dipendenti dei 48 punti vendita del gruppo del Cash&Carry Metro Italia. La protesta, indetta da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, ha diverse motivazioni: la disdetta del contratto integrativo dal 1° aprile scorso, sostituito unilateralmente da un regolamento integrativo aziendale (Ria), gli orari, l’organizzazione del lavoro, le ristrutturazioni e le chiusure dei punti vendita.

A questo primo stop, accompagnato da numerose manifestazioni e sit-in in tutta Italia, si aggiungeranno poi ulteriori otto ore di sciopero da organizzarsi a livello territoriale e di magazzino. A Roma, i sindacati hanno organizzato tre presìdi davanti ai negozi di via Aurelia, via Laurentina e La Rustica, altre manifestazioni sono previste in mattinata a Marghera (Venezia), Elmas (Cagliari), Modena, Sassari (zona industriale Predda Niedda), Parma.

Per la prima volta, dopo 46 anni di relazioni sindacali strutturate (il primo integrativo risale al 24 marzo 1978), l’attuale dirigenza della catena di supermercati all’ingrosso non ha voluto sottoscrivere il contratto aziendale. “Un atto grave che si è consumato dopo mesi di trattativa surreale, in cui l’impresa ha esclusivamente ribadito le proprie posizioni in un monologo sordo alle esigenze delle lavoratrici e dei lavoratori”, spiegano Filcams, Fisascat e Uiltucs: “E nell’ottobre scorso il nuovo gruppo dirigente si è permesso, senza neanche aver mai visto un magazzino e, per stessa ammissione dell’impresa, non avendo ancora definito gli obiettivi, di disdettare il contratto integrativo”.

Quattro i punti forti di dissidio tra la società e i sindacati: organizzazione del lavoro, premio variabile (che Metro propone di abbassare da 1.600 a 1.400 euro), orario di lavoro (che Metro vorrebbe riportare da 36 a 38 ore, per di più aumentandone la flessibilità), ristrutturazioni e chiusure di punti vendita. “Davanti alle pregiudiziali poste dall’azienda ogni mediazione è risultata impossibile, gli effetti che la disdetta produrrà saranno a carico delle lavoratrici e dei lavoratori”, affermano i sindacati nazionali e territoriali: “Questo è l’ennesimo atto dell’azienda che punta a tagliare sul costo del lavoro, non possiamo esimerci dal chiamare le lavoratrici e i lavoratori alla lotta affinché l’azienda muti radicalmente il proprio atteggiamento”.

Riguardo all'organizzazione del lavoro, con il nuovo progetto T.E.M.P.O. “l'azienda intende flessibilizzare ancor di più la prestazione lavorativa, con orari che cambiano ogni giorno e con turni spezzati, rendendo sostanzialmente impossibile per le lavoratrici e i lavoratori programmare il proprio tempo di vita”. I sindacati, invece, chiedono confronti e accordi sul tema nei singoli punti vendita e la garanzia dei turni unici continuati. Altro punto dirimente è quello riguardante ristrutturazioni e chiusure dei punti vendita: Filcams, Fisascat e Uiltucs chiedono che il preavviso sia di almeno 90 giorni, ma l’azienda ha dato disponibilità a soli 30 giorni. I sindacati stigmatizzano anche le mancate risposte del management sull'utilizzo del precariato, l'abolizione del contributo ai Cral (che l'azienda intende sostituire con un contributo di 2,92 euro per dipendente al mese da destinare alla previdenza integrativa), il mancato rispetto delle mansioni, l’assenza di investimenti per la sicurezza e sui mezzi elevatori per ridurre il carico di lavoro, oltre alla necessità di una maggiore retribuzione per tutti sul lavoro domenicale (senza discriminare i lavoratori con la domenica lavorativa nel contratto).