Tenuta occupazionale, pluralismo dell’informazione e democrazia “sono in gioco in questa legge di Bilancio”. È da qui che parte l’allarme lanciato dalla Fnsi, che mette in guardia sugli effetti di una manovra capace di colpire in profondità l’intero comparto editoriale, dalla carta stampata all’emittenza radiofonica e televisiva, fino al servizio pubblico della Rai, già alle prese con trasformazioni strutturali e crisi di sostenibilità.

Secondo il sindacato dei giornalisti, “i tagli delle risorse rischiano di avere conseguenze devastanti sull’intero comparto”, perché intervengono su un sistema fragile, dove lavoro precario, riduzione degli organici e compressione dei diritti sono ormai condizioni diffuse. Una scelta che finisce per trasformare la legge di Bilancio in “un gioco delle tre carte, sempre a discapito dell’articolo 21 della Costituzione”, riducendo di fatto lo spazio del diritto a essere informati.

La Fnsi respinge con forza l’idea che il pluralismo possa essere difeso a colpi di tagli. “Non è sottraendo soldi all’emittenza radiofonica e televisiva che si aiuta l’informazione e non è neppure togliendo risorse alla carta stampata che si sostiene il pluralismo”, sottolinea la nota, ricordando come radio locali, tv territoriali e giornali rappresentino spesso l’unico presidio informativo in molte aree del Paese.

Pur riconoscendo “la delicatezza e la complessità del momento”, il sindacato ribadisce che “i fondi destinati all’informazione nel suo complesso non possano essere erosi”, ma debbano essere utilizzati con criteri chiari e rigorosi. Le risorse pubbliche, spiega la Fnsi, devono andare “alle aziende meritevoli, che hanno attenzione per i contratti collettivi di lavoro e il loro rinnovo e che rispettano le norme e i regolamenti dello Stato”, evitando di alimentare modelli basati sullo sfruttamento e sulla compressione salariale.

Il nodo, però, è anche politico e strutturale. Per la Fnsi lo Stato deve affrontare “una completa revisione delle leggi che disciplinano il settore” e avviare “un aumento serio del sostegno all’informazione di qualità, perno della democrazia”, seguendo quanto già avviene in molti Paesi europei. Perché “i giornalisti, in ogni settore, restano il core business dell’informazione” e ogni finanziamento pubblico dovrebbe servire “a sostenere l’occupazione, non gli utili delle aziende”, rimettendo al centro lavoro, diritti e qualità democratica.