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L'azienda è un fiore all’occhiello dell’imprenditoria toscana. Ma è in crisi e, a metà maggio, i suoi dipendenti sono entrati in sciopero per avere chiarezza sul loro futuro. Stiamo parlando della Ids, una società di system engineering che impiega ad oggi circa 400 persone e che fornisce, dal 1980, anno della sua costituzione, servizi di alta tecnologia e soluzioni integrate di sistema in ambito civile e militare. La sede centrale è a Pisa, il che fa di Ids una realtà storica dell’imprenditoria nel territorio. Altre sussidiarie sono dislocate in diversi siti produttivi italiani (Roma, Napoli, Catanzaro) ed esteri (Canada, Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Corea Del Sud, Brasile). Lo stato di agitazione è stato indetto dalle Rsu dell’azienda e dai sindacati Fim Cisl e Fiom Cgil di Pisa.
I problemi di Ids durano da diversi anni, ma negli ultimi tempi sono precipitati, tanto che i circa 200 dipendenti della sede pisana (tutti ingegneri di alto profilo) a maggio hanno ricevuto in busta paga solo metà dello stipendio dovuto. Da qui la preoccupazione, e la mobilitazione. “Sono tre anni che combattiamo per avere un dialogo serio con l'azienda – spiega Cecilia Tintori, delegata Fiom Ids –, che prima ha provato a rifilarci piani industriali fantasiosi, poi, non reggendo il confronto e la contestazione di tali piani, ha iniziato a trincerarsi dietro agli impegni del cda”.
Fino al 2010, Ids è stata guidata dal suo fondatore, Franco Bardelli. Al momento della sua scomparsa gli è succeduto il figlio Giovanni. La nuova gestione ha determinato un’espansione in termini di fatturato e di giro d’affari. Ma “tale espansione – si legge in un documento della Fiom – ha determinato maggiori costi e necessità di maggiori risorse finanziarie ai quali la dirigenza aziendale non ha saputo rispondere con adeguate politiche”. A partire dal 2013 la situazione finanziaria della società è peggiorata, e “per farvi fronte, a giugno 2016, la direzione è stata costretta a cedere il ramo georadar, quello con maggior marginalità e con un fatturato pari al 40% del totale dell’azienda”, ricostruiscono sempre le Rsu aziendali. Ma l’erosione non si è arrestata. L’ultima notizia i dipendenti l’hanno letta sui giornali: la cessione a Enav del principale ramo di azienda attualmente redditizio (la divisione aeronavigazione): una decisione che secondo Rsu e sindacati “determinerà la perdita di circa il 50% del fatturato complessivo, che si attesta, nel 2018, a circa 45 milioni di euro”.
Questa vendita rappresenterebbe “la fine della Ids come la conosciamo”, spiegano le Rsu: l’azienda rimarrebbe con 270 dipendenti su Pisa, Roma, Napoli e Catanzaro, e con un fatturato nel 2018 senza aeronavigazione pari a 18 milioni. Dipendenti e sindacati spingono perché si trovino “soluzioni alternative” a questa cessione, e che l’azienda venga chiamata e accetti di sedersi a un tavolo istituzionale. Le Rsu chiedono il rispetto “delle relazioni sindacali con l’apertura di un tavolo di crisi regionale e nazionale che speriamo possa coinvolgere anche il ministero dello Sviluppo economico”, spiega Giovanni Alli, delegato Fiom di Ids, a Controradio.
Si legge ancora nella ricostruzione di Rsu e sindacati che Ids, inoltre, è “fortemente esposta finanziariamente verso fornitori, istituti di credito, soci pubblici e soggetti privati e, purtroppo, anche verso i propri dipendenti dato che fatica a pagare gli stipendi ed i contributi previdenziali e da oltre un anno non paga le ritenute Irpef che ha comunque trattenuto e per le quali i dipendenti sono solidali nei confronti dell’erario. Una situazione di crisi che la direzione non ha mai esplicitamente riconosciuto, perfino quando sollecitata dalle istituzioni non più di pochi mesi fa, rifiutando l’apertura dello stato di crisi che avrebbe potuto avviare la ricerca di possibili soluzioni”.
La Fiom ritiene che il piano industriale fornito dall’azienda “non presenti valide alternative in termini di prodotti e tecnologie che possano garantire gli stessi livelli di ricavi dell’aeronavigazione”. I metalmeccanici Cgil, inoltre, sospettano che “l’avanzamento tecnologico dei prodotti dichiarato nel piano sia più ottimistico rispetto alla realtà e che i ricavi a essi legati non consentano il mantenimento degli attuali livelli occupazionali”.