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“Sui settori tradizionali l’Europa è in grande difficoltà, sui settori nuovi è praticamente assente”. Il giudizio dell’economista Vincenzo Comito è netto: l’industria dei Paesi dell’Unione sta imboccando la strada di un lento, ma progressivo, processo di declino economico. E almeno per ora, non s’intravedono strategie d’uscita da questa situazione.
Per gran parte della grande industria europea – dall’acciaio all’auto, dalla chimica alla meccanica – il momento è davvero critico: quali sono le cause?
Occorre anzitutto citare una causa ben precisa: gli alti costi dell’energia. L’Europa si è inflitta un grave danno bloccando l’importazione di petrolio e gas russo. Adesso importiamo, soprattutto dagli Stati Uniti ma anche da altrove, fonti energetiche a prezzi che sono fino a cinque volte quelli russi. A soffrirne, in particolare, sono i settori della chimica e dell’acciaio.
E tra le cause più generali?
Vanno sicuramente menzionate il grande ritardo nell’innovazione tecnologica e la concorrenza cinese. Quest’ultima è sempre più presente sia in Europa sia nei Paesi in cui sono presenti le imprese europee. Poi l’insulsaggine delle classi dirigenti: di fronte alle difficoltà l’Europa continua a essere ferma, è rimasta al ventesimo secolo. Infine, la sostanziale stagnazione dell’economia continentale degli ultimi anni.
Tutte queste motivazioni le ravvisa anche riguardo i nuovi settori?
Qui l’Europa proprio non c’è, siamo nel dominio esclusivo di Cina e Stati Uniti. Bruxelles, a causa della totale incapacità dei suoi dirigenti, non ha fatto alcunché per sostenere adeguatamente i nuovi settori. E quando ha cominciato a fare qualcosa i risultati sono stati ridicoli, perché le risorse e l’impegno profuso non hanno portato a nulla.
In questo scenario, qual è la situazione dell’Italia?
Sullo sfondo del disastro dell’Unione Europea, c’è quello specifico dell’Italia. Un Paese dove classi dirigenti inermi e incapaci hanno fatto di tutto per non sviluppare i nuovi settori. Esportiamo ancora i prodotti che esportavamo cinquant’anni fa, e riusciamo a farlo solo in virtù del basso livello dei salari e del costo del lavoro. E poi in Italia si è cercato, e purtroppo siamo una fase avanzata, di distruggere la scuola e la ricerca, invece di sostenerle adeguatamente.
Un settore per tutti: l’automotive. In Europa gli stabilimenti chiudono, il mercato dell’elettrico è dominato dalla Cina. Eppure era il comparto d’eccellenza dell’industria continentale. È una posizione che possiamo recuperare?
L’autonomia dell’auto europea è largamente compromessa. Qui ancora discutiamo sull’auto elettrica, ma la questione è già chiusa: nel mondo l’auto elettrica ha vinto, e ha vinto l’auto elettrica cinese. Oggi la lotta è sull’auto a guida autonoma, anche qui dominano i cinesi e qualche operatore statunitense. Il biglietto d’ingresso nel settore sembra aggirarsi sui 100 miliardi di dollari: non so chi in Europa è pronto a mettere sul tavolo una cifra simile. Abbiamo poi l’auto sempre più connessa: anche qui vincono i cinesi. Infine, bisogna ricordare che in Cina si sta avviando in questi mesi la prima fabbrica di auto volanti.
Per i veicoli europei, dunque, sembra essere arrivato il de profundis...
Da un punto di vista apparentemente congiunturale, sull’automotive ci troviamo di fronte a diverse difficoltà. La riduzione delle vendite in Cina, soprattutto per le auto tedesche, con l’Asia che produce almeno il 60 per cento del totale mondiale di auto. La stagnazione del mercato europeo, cui si aggiunge l’ostacolo rappresentato dalla crescita delle tariffe statunitensi, dovute alle politiche del presidente Trump. Infine l’Europa sta perdendo quote di mercato anche nei Paesi esterni, in particolare in quelli del cosiddetto ‘terzo mondo’, sempre a causa della concorrenza cinese.
Il mercato europeo dell’auto era trainato dalla Germania. La crisi è arrivata anche lì?
L’auto tedesca è il simbolo di questa crisi. I tedeschi dominavano la fascia alta del mercato dall’alto della loro prodezza tecnologica nel settore meccanico. Ma oggi l’auto, parliamo di quella elettrica e ancor più di quella a guida autonoma, è fatta di batterie e software, che pesano per circa i tre quarti del costo totale. Il peso della meccanica sta divenendo trascurabile: è questo, in particolare, a mettere in crisi l’auto tedesca.
Il quadro descritto sull’automotive è davvero preoccupante. Cosa si potrebbe fare?
Penso che la strada percorribile, ed è forse l’unica, è quella di ‘cinesizzarsi’ al più presto, sia per tentare di penetrare il mercato cinese sia per stringere accordi tecnologici e di ricerca con le case cinesi. Su questo i tedeschi e la Renault sono abbastanza avanti, imprese come Stellantis, invece, sono ancora indietro.
L’Europa arranca anche nei nuovi settori, come l’intelligenza artificiale, l’internet of things, l’alta tecnologia in genere, presidiati da Cina e Stati Uniti. È possibile colmare questo ritardo?
In questi settori l’Europa è messa veramente male. Prendiamo il comparto dei chip: abbiamo alcune società tedesche, la franco-italiana StMicroelectronics, ma siamo in terza fila, non siamo in grado di produrre le cose più avanzate. Lo stesso possiamo dire per l’intelligenza artificiale: abbiamo un paio di imprese che cercano di fare qualcosa, ma i loro sforzi mi sembrano del tutto insufficienti a colmare questo ritardo.
In conclusione: siamo davvero condannati al declino economico e industriale?
Le civiltà nascono, crescono, diventano forti, poi declinano, magari dopo si riprendono, ma deve passare molto tempo. India e Cina, ad esempio, per secoli hanno rappresentato circa il 60 per cento dell’economia mondiale, poi sono entrate in crisi, mentre ora stanno tornando al ruolo che storicamente gli spetta. Penso che l’Europa sia in una fase di declino quasi finale, che ci sia ben poco da fare. Ma forse sono troppo pessimista, e spero ovviamente di sbagliarmi.


























