Fine precariato mai: o quasi mai, quando ti va bene e dopo un bel po’ di anni arriva la stabilizzazione. È il destino amaro dei lavoratori e delle lavoratrici degli enti pubblici di ricerca italiana e di cui su Collettiva ci siamo occupati più volte. Questa volta siamo andati nella sede del Crea a Firenze. Il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, è uno dei più grandi enti di ricerca italiani, ha 12 sedi in tutta Italia circa 1.800 dipendenti, di cui 400 precari: quasi uno su quattro. E anche gli strutturati – come si dice - hanno spesso alle spalle anni e anni di incertezze.
Il Crea ha poi una caratteristica molto particolare: 60 aziende agrarie sperimentali collocate in tutto il territorio nazionale dove vicino ai ricercatori lavorano operai altamente specializzati, anch’essi con un destino di precarietà senza fine.
Il Crea è un ente di ricerca di grande rilevanza strategica per il futuro del Paese e che però sembra finito nell’ampio dimenticatoio della politica. Come, d’altra parte, l’intero settore che conta 6 mila precari su un totale di 25 mila addetti e per il quale, anche quest’ultima Finanziaria, si sta rivelando una grande delusione. Un solo articolo, il 107, in cui si sbandiera un roboante Piano nazionale della ricerca, che però è un intervento di natura solo organizzativa: si prendono fondi già esistenti e li si accorpa in un unico fondo denominato Piano triennale che non fa altro che spalmare nel tempo, soprattutto verso l’ultimo anno, quanto già previsto nelle passate leggi di bilancio. Insomma: zero investimenti per la ricerca, zero investimenti per le stabilizzazioni e conferma del blocco del turn-over al 75% per il 2026.
Di qui i presìdi organizzati ultimamente dalla Flc Cgil: l’11 novembre e il 17 dicembre.
Tornando al Crea, per Gianpiero Golisano, responsabile per l’ente della Flc,”è necessario un intervento finanziario perché lavoratori e lavoratrici precarie, che sono essenziali per la conduzione delle attività di ricerca, siano stabilizzate all'interno del corpo dei dipendenti di ruolo”. Spesso, aggiunge, “quando la persona finisce il contratto, è gioco forza che le linee di ricerca si interrompono”. Un danno dunque anche l’interesse generale del Paese, che su queste professionalità ha investito negli anni.
In questo video ricercatori e ricercatrici raccontano una lunga via crucis, fatta di precariato in varie forme - assegni di studio, borse, collaborazioni, contratti a tempo determinato - che spesso alla soglia dei 40 anni non si è ancora conclusa. Per far valere le proprie ragioni si sono costituiti in un coordinamento, il Pic, cioè “PrecarIncampo”. Chiedono in fondo una cosa semplice: continuare in un lavoro che li appassiona e per il quale hanno fatto tanti sacrifici, per potersi costruire un progetto di vita fondata su alcune sicurezze che dovrebbero costituire un diritto sacrosanto: non essere preoccupati per quello che potrà - o non potrà - succedere da qui a sei mesi.
























