Non c’è pace per Industria italiana autobus (Iia), l’azienda nata nel 2015 dal raggruppamento dell’ex Bredamenarini di Bologna e dell’ex Irisbus di Flumeri (Avellino). I lavoratori sono in cassa integrazione, la produzione è in parte delocalizzata in Turchia e comunque procede a singhiozzo, il progetto del governo di creare un polo pubblico per la produzione di autobus è finora rimasto affidato alle sole parole. Qualcosa in più dovrebbe capirsi oggi (giovedì 10 gennaio) nel corso dell’incontro che si tiene a Roma, presso il ministero dello Sviluppo economico. Un incontro però dedicato solo a un pezzo della società, ossia l’ex Irisbus, con la firma del rinnovo della cassa integrazione.

Già nel 2016 Industria italiana autobus, ad appena pochi mesi dalla sua nascita, va incontro a una crisi industriale e finanziaria che rischia di compromettere il futuro dei lavoratori (153 a Bologna e 290 a Flumeri): la società chiede allora l’intervento del ministero dello Sviluppo economico per cercare soluzioni che consentano la ristrutturazione degli stabilimenti e la piena ripresa dell’attività produttiva, anche alla luce della scadenza (il 31 dicembre 2018) degli ammortizzatori sociali. L’8 ottobre scorso si tiene presso il dicastero l’ultimo tavolo di crisi: Ferrovie dello Stato conferma l’interesse al progetto, Leonardo-Finmeccanica ribadisce l’intenzione di incrementare la propria partecipazione societaria e Invitalia la volontà di proseguire nell’operazione di rilancio.

L’11 dicembre l’assemblea degli azionisti di lia ricapitalizza l’azienda, ora controllata al 70 per cento dalla turca Karsan (ex socio di minoranza), e per il restante 30 da Leonardo. Una soluzione “tampone”, della durata di 40 giorni, giusto per evitare il fallimento dell’azienda a causa dei debiti, mantenendola in attività, in attesa che torni sotto il controllo pubblico. Ma ancora non vi è traccia dell’annunciato progetto del governo di creare un polo pubblico per la produzione di autobus, evitando dunque anche la delocalizzazione della produzione. Va segnalato, infatti, che le attuali commesse sono state in buona parte delocalizzate in Turchia (alla Karsan), e che sia a Bologna sia a Flumeri si continua con la cassa integrazione e con una produzione a singhiozzo.

Tornando all’incontro odierno, se la situazione sembrerebbe per ora tamponata per i 290 di Flumeri, appunto con il rinnovo della cig, ancora in alto mare è la soluzione per i 153 di Bologna. L’estensione per loro della cassa integrazione non è così probabile, come ha paventato il nuovo amministratore delegato Antonio Bene durante il primo incontro avuto con le Rsu. Un altro segnale in questo senso è stata anche la mancata convocazione al tavolo ministeriale della Regione Emilia-Romagna (che sarà comunque presente con l’assessora alle Attività produttive Palma Costi e con i sindacati territoriali), che ha appena sbloccato 1 milione 420 mila euro per agevolare la ripresa produttiva, che si aggiungono ai 600 mila euro già concessi nei mesi scorsi per consentire il pagamento degli stipendi.

“L’annuncio di una nuova proprietà con Ferrovie è rimasta in stazione, nessuno ci dice se parcheggiata in attesa di qualcosa o su un binario morto. Gli autobus continuano a essere prodotti in Turchia, gli stabilimenti sono di fatto fermi”. Così il segretario nazionale della Fiom Cgil Michele De Palma: “Discuteremo di cassa integrazione. Ma per quanto tempo? Per realizzare cosa? Siamo ancora in attesa del piano industriale e occupazionale della nuova compagine proprietaria”. De Palma rimarca che di “pasticci ne sono stati fatti fin troppi e di certo non da noi, non vorremmo che ogni volta ci fosse un nuovo salvatore, una nuova terra promessa”. E così conclude: “Speriamo che al vertice si palesi il ministro Di Maio, visto che da mesi rifiuta un incontro sul futuro dei lavoratori di Bologna e Flumeri”.