PHOTO
Un “piano morto”. Per Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil il piano presentato ieri (martedì 18 novembre) dal governo per l’ex Ilva prelude alla chiusura degli stabilimenti. Dalle fabbriche usciranno in 6 mila (tra cassa integrazione e formazione), e dal primo marzo gli impianti si avvieranno di fatto al fermo produttivo. Una situazione drammatica, cui sindacati e lavoratori hanno immediatamente reagito con scioperi e cortei.
De Palma, Fiom: “L’obiettivo del governo è fermare gli impianti”
“La questione non è la formazione o la cassa integrazione, ma se salviamo o meno quest’azienda”. Così il segretario generale Fiom Cgil Michele De Palma, intervenendo alla conferenza stampa indetta dai sindacati metalmeccanici sulla vertenza dell’ex Ilva: “La presidente del Consiglio deve decidere se seguire il ministro Urso che ha imboccato l’autostrada contromano. Si assuma la responsabilità di convocarci al tavolo e di ritirare questo piano”.
Il leader Fiom ha sottolineato che dal governo “sono state comunicate delle falsità. Noi non abbiamo abbandonato il tavolo, né rotto le trattative. Abbiamo chiesto che la presidente del Consiglio sospenda il presunto piano di decarbonizzazione, si prenda il tempo necessario e faccia funzionare il piano che abbiamo condiviso, quello con tre forni elettrici e tre Dri a Taranto”.
Il governo, ha aggiunto De Palma, ha detto che “la decarbonizzazione va fatta in quattro anni e non più in otto, ma le risorse di quel piano, che già erano insufficienti, non ci sono più”. Per l’esecutivo “arriviamo a 6 mila persone in cassa perché i lavoratori sono il bancomat dell’azienda, in quanto il governo non mette più le risorse”.
Sempre sulla questione delle risorse, De Palma ha fatto l’esempio della manutenzione: “Il governo afferma che si sta facendo, ma in realtà il 50-60 per cento degli addetti alla manutenzione sono in cassa, sono a casa. Con chi la fanno, visto che non ci sono nemmeno le risorse per i pezzi di ricambio?”.
Riguardo la formazione, il leader Fiom ha ricordato che i sindacati hanno proposto la formazione in sostituzione della cassa. “Quando abbiamo detto che la volevamo, ci hanno detto che non c’erano le risorse. E oggi ci sono?”, ha concluso: “La verità è che il governo usa la formazione per tenere fermi gli impianti e non mandare le persone a lavorare. La formazione deve servire a supportare il piano di transizione. La si può chiamare cassa integrazione o formazione, ma l'obiettivo è fermare gli impianti”.
Palombella, Uilm: “Da Urso spettacolo indecoroso”
“La situazione dell’ex Ilva è arrivata al capolinea. Dietro ci sono tanti lavoratori, tante comunità, e noi continueremo a insistere per evitare una conclusione drammatica”. Così il segretario generale Uilm Uil Rocco Palombella: “Nell’incontro ci hanno presentato un piano di decarbonizzazione che contiene, in realtà, un piano di chiusura. Per noi, è un piano morto”.
Palombella ha rilevato che “dopo la cassa integrazione per i 6 mila lavoratori c’è il nulla. Dal primo marzo gli stabilimenti saranno chiusi tutti. A Genova e Novi hanno già detto che non manderanno più i coils perché non li produrranno più. E riguardo la formazione: a cosa serve se gli impianti saranno fermi e se dal primo marzo si chiude tutto? Abbiamo chiesto di ritirare il ma loro ci hanno risposto: non se ne parla”.
Il segretario Uilm, in conclusione, ha sottolineato che nell’incontro col governo “c’è stato un rimpallo delle responsabilità e uno spettacolo indecoroso del ministro delle Imprese Urso, che ha dato la colpa a tutti, dal Comune alla magistratura, meno che alla sua gestione. In questi due anni la situazione è diventata ulteriormente drammatica”.
Uliano, Fim: “Una situazione di non ritorno”
“La situazione era difficile già a settembre con il mancato accordo sulla cassa integrazione”, ha esordito il segretario generale Fim Cisl Ferdinando Uliano: “Ieri abbiamo riscontrato che improvvisamente si decide di fermare la gran parte degli impianti, fatta eccezione per l’altoforno, determinando una situazione di non ritorno”.
Il leader sindacale ha evidenziato che “abbiamo più volte chiesto al governo se ci fossero le risorse necessarie per proseguire l'attività, visto che il bando per la vendita veniva prorogato. L’operazione che si fa, invece, è che forse un soggetto industriale preferisce prendere gli impianti chiusi e poi decidere cosa tenere in vita”.
Il segretario generale Fim così conclude: “Noi abbiamo condiviso con molta sofferenza un piano di transizione che, se sacrificava posti di lavoro, garantiva comunque ambiente, lavoro e sicurezza. Un piano con tre forni elettrici su Taranto. Ma ora Urso ci ha detto che questo piano non c’è più. Qui si tratta di difendere un asset industriale del Paese”.

























