Se non fosse questione tanto seria e sentita anche il sindacato potrebbe provare un moto di blanda ilarità leggendo le parole affidate alla stampa dalla premier Giorgia Meloni in merito alla discussione sul salario minimo e alle proteste sindacali, a suo avviso in contraddizione con gli esiti di alcune trattative.

Riferendosi in particolare al contratto della vigilanza privata e dei servizi di sicurezza, quale esempio di aumento insufficiente delle retribuzioni, la premier sembra ignorare - o dimenticare - che per sbloccare la trattativa in questione, rimasta ferma per oltre sette anni, i sindacati hanno chiesto ripetutamente l'intervento del governo. La prima ad essere interpellata è stata la ministra Catalfo, al dicastero del Lavoro nel secondo governo Conte, poi il ministro Orlando, governo Draghi, e infine la ministra Calderone a febbraio 2023: da tutti è stata raccolta l'intenzione di contribuire a risolvere l'impasse della trattativa e, egualmente, nessuno di loro ha fatto poi qualcosa in tal senso.

Privi dunque di qualsiasi supporto, i sindacati hanno portato responsabilmente avanti la trattativa e siglato il contratto per ottenere almeno un primo aumento ma prevedendo, nello stesso contratto, un calendario di incontri mirati a concordare un ulteriore incremento delle retribuzioni.

A differenza del ministero del Lavoro, nelle diverse declinazioni governative che si sono succedute in questi anni, i sindacati hanno optato per il fare piuttosto che per il dire, senza nulla realizzare.

I menzionati incontri con le parti datoriali per una nuova revisione delle retribuzioni dei lavoratori della vigilanza sono tuttora in corso.

Nel frattempo, anche sull'onda dei ricorsi, delle denunce e delle segnalazioni partiti dalla Filcams, sulla questione sono intervenute la Magistratura, che ha sancito l'insufficienza della retribuzione dei livelli più bassi dei servizi di sicurezza cd. fiduciari, e la procura di Milano, che ha commissariato diverse aziende, giudicando sfruttamento le basse retribuzioni del settore.

La Filcams ha tra l'altro promosso una class action in una importante azienda del settore e ottenuto così l'aumento dei salari dei suoi dipendenti: un'azione che rappresenta un esempio di intervento concreto, ben diversa dalla aleatoria valutazione fornita dal governo sull'operato di altri, in un campo in cui è passato senza lasciare tracce.

In seguito alla risonanza mediatica ottenuta dai commissariamenti di grandi imprese del settore, il ministero del Lavoro lo scorso agosto ha convocato le parti: un invito che si è risolto nel mettere a disposizione spazi del ministero per incontri ai quali il ministero da ultimo non ha nemmeno preso parte. L’intervento del ministero avrebbe richiesto una assunzione di responsabilità alla quale il governo ha deciso di sottrarsi ancora una volta.

In aperta contraddizione con il commento della premier è proprio l'assetto del settore, dove il 60% della forza lavoro è occupato in appalti pubblici impiegati in amministrazioni e sedi istituzionali: vale a dire che sono in primo luogo le amministrazioni e le istituzioni dello Stato a firmare appalti al ribasso che ricadono poi sulle retribuzioni di lavoratrici e lavoratori.

"Ci sono anche loro, in larga parte, dietro a salari così bassi e dietro alla difficoltà che i sindacati incontrano a concordare un aumento dignitoso al tavolo della trattativa: il governo punta il dito contro il sindacato per un risultato del quale, in ultima istanza, è più responsabile del sindacato", commenta Fabrizio Russo, segretario generale Filcams Cgil.

"I salari del comparto della vigilanza privata e dei servizi di sicurezza devono essere aggiornati: il governo dovrebbe decidere di intervenire in questa direzione - conclude il segretario - invece di limitarsi a criticare quello che il sindacato, nonostante l'assenza del governo, è riuscito a fare. E continuerà a fare, mettendo in campo tutti gli strumenti di mobilitazione a disposizione".