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L’estate non è ancora esplosa del tutto, ma il caldo ha già iniziato a fare danni, soprattutto nei luoghi di lavoro esposti. Cantieri, campi, magazzini e strade: gli effetti della crisi climatica stanno trasformando l’estate italiana in una stagione ad alto rischio per chi lavora. E mentre il fenomeno accelera, il nostro sistema normativo e organizzativo appare drammaticamente impreparato.
Lavorare a 40 gradi: aumentano gli infortuni
Non si tratta più solo di disagio. L’aumento delle temperature ha un effetto diretto sulla salute dei lavoratori e sulla loro sicurezza. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Environmental Research e riportato da Il Venerdì, il caldo estremo provoca in Italia oltre 4.000 infortuni l’anno. I più colpiti sono i lavoratori dell’edilizia, dell’agricoltura e della logistica, spesso soggetti a turni lunghi in ambienti esterni o privi di adeguate protezioni.
Secondo i dati dell’International Labour Organization, il 70% della forza lavoro mondiale è influenzata negativamente dal cambiamento climatico, con impatti psicofisici che vanno ben oltre il colpo di calore: cali di attenzione, rischio incidenti, e perdita di produttività.
L’Inail lancia l’allarme: ecco le 10 regole per proteggersi
Per far fronte a questa nuova emergenza, l’Inail ha redatto un decalogo con regole pratiche per ridurre i rischi legati al caldo: idratarsi costantemente, indossare abiti chiari e traspiranti, anticipare i turni ed evitare i picchi di calore, fare pause più lunghe. Sembra un elenco di buonsenso, ma assume un valore salvavita in un contesto dove il rischio di collasso fisico è diventato quotidianità.
La politica rincorre l’emergenza
Se la Spagna ha già introdotto un “permesso di lavoro climatico” retribuito di quattro giorni in caso di allerta meteo, l’Italia si muove a rilento. Come ricorda Il Venerdì, non esiste ancora una regolamentazione nazionale strutturata. Solo alcune Regioni, nel 2024, hanno vietato le attività sopra i 35 gradi,
ma sempre a emergenza in corso.Secondo Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, “il Governo Meloni non ha ancora adottato alcuna strategia di prevenzione, né stanziato i fondi necessari per attuare il Piano nazionale di adattamento climatico”. Risultato: 351 eventi estremi nel 2024 (tra alluvioni e siccità) con un +485% rispetto al 2015, anno dell’Accordo di Parigi.
Le richieste dei sindacati: basta ordinanze a posteriori
“Non possiamo più inseguire le emergenze”, denunciano i sindacati dell’edilizia. FenealUil, Filca-Cisl e Fillea-Cgil hanno inviato una lettera al ministro Calderone e alle commissioni parlamentari per chiedere misure stabili e strutturali: accesso alla cassa integrazione ordinaria anche per il caldo estremo, esclusione dei giorni di fermo dal conteggio delle 52 settimane nel biennio, e aggiornamento del Decreto 81/2008 per inserire i rischi legati allo stress termico.
Basilicata, una proposta concreta
A livello locale, il segretario della Fillea Cgil Basilicata, Angelo Vaccaro, ha chiesto alla Regione di vietare il lavoro nei cantieri durante i picchi di calore, ricordando che la tutela della salute deve essere al centro di ogni politica pubblica. “La correlazione tra caldo estremo, patologie gravi e infortuni è ormai evidente. Non possiamo più ignorarla”, ha dichiarato.
Le aziende? Ancora troppo passive
Anche le imprese potrebbero sospendere l’attività in caso di caldo estremo, garantendo la cassa integrazione. Ma in Italia prevale ancora la logica dell’urgenza. Alcune realtà hanno abbracciato pratiche più sostenibili – smart working, mobilità condivisa, veicoli elettrici – ma più per ragioni ambientali o economiche che per reale tutela della salute dei dipendenti.
Il 2025 sarà ancora più caldo. Serve agire ora
Il 2025 si prospetta come l’anno più caldo mai registrato, avverte Patrick Watt, presidente di Christian Aid. La transizione ecologica è urgente, ma altrettanto lo è adattare il lavoro alla nuova realtà climatica. Le sfide sono già sul tavolo: aggiornare i piani nazionali sul clima, concludere la COP16 sulla biodiversità a Roma, negoziare un trattato globale contro la plastica.
Ma tutto questo rischia di rimanere vuoto se non si parte dalle basi: proteggere le persone nei luoghi di lavoro. Come ricorda la Fillea Cgil: “Non possiamo aspettare il primo malore in cantiere per reagire”.