L’autunno del 2025 si apre con un’agenda sindacale fitta di vertenze e aspettative. Tre milioni di lavoratrici e lavoratori del settore privato attendono il rinnovo del contratto collettivo nazionale: metalmeccanici, telecomunicazioni, gomma-plastica, legno-arredo. A questi si aggiungeranno, entro la fine dell’anno, altri 377 mila addetti con contratti in scadenza. Una prova di forza e di visione per il mondo del lavoro organizzato, chiamato a ridisegnare le regole dopo anni di inflazione, precarietà e contrattazione a rilento.

Secondo gli ultimi dati, quasi un lavoratore su due applica un contratto che scadrà nel 2026 o oltre, mentre più di un terzo è già in attesa di rinnovo da oltre un anno. Una fotografia che racconta un sistema produttivo che vive un ritardo strutturale, dove la competitività spesso viene invocata per giustificare la stagnazione salariale.

Perdita del potere d’acquisto

Ma il rinnovo dei contratti non è solo questione di numeri. È il cuore della democrazia economica: salario, welfare, sicurezza, formazione, partecipazione. I metalmeccanici, ad esempio, hanno avanzato una richiesta di aumento di 235 euro mensili, in linea con la crescita del costo della vita. Le imprese, però, continuano a richiamarsi al Patto della Fabbrica e all’indice Ipca, proponendo incrementi che non coprono pienamente l’inflazione reale. Il risultato è che milioni di lavoratori stanno perdendo potere d’acquisto mentre la produttività cresce e i profitti restano concentrati.

Il nodo dei salari

Il nodo centrale resta sempre lo stesso: come redistribuire il valore generato. Perché se la produttività non si traduce in migliori salari e condizioni, diventa solo una parola al servizio delle rendite. Da qui la sfida lanciata dal sindacato: fare del contratto collettivo uno strumento innovativo per governare le trasformazioni del lavoro. Non solo un listino di aumenti, ma una piattaforma per un nuovo modello di sviluppo fondato su partecipazione, sostenibilità, equità.

Rinnovo contrattuale cercasi

In un Paese dove tre lavoratori su dieci aspettano un rinnovo, il tavolo contrattuale diventa il vero termometro sociale. L’autunno sarà un banco di prova, non solo per il ministro del Lavoro, chiamato a sostenere il dialogo, ma per tutto il sistema delle relazioni industriali. Perché un contratto rinnovato non è una concessione, è un atto di giustizia e di riconoscimento della dignità del lavoro.