Il lavoro minorile è un fenomeno insidioso e ancora radicato anche nel nostro Paese. Lo conferma la ricerca condotta da Save the Children in collaborazione con la Fondazione Di Vittorio che fornisce stime allarmanti: 340 mila bambini, bambine e adolescenti che hanno svolto un lavoro prima dei 16 anni, e 58 mila ragazzi e ragazze (tra 14 e 15 anni) coinvolti in attività lavorative dannose per la propria salute e il proprio benessere psicofisico perché pericolose o svolte in orari notturni o in modo da favorire abbandoni e dispersione scolastica. 

Le istituzione latitano

Numeri impressionanti che confermano la dimensione rilevata da un’analoga ricerca condotta dieci anni fa con la Fondazione Di Vittorio (allora Associazione Bruno Trentin) e che evidenziano come in questi anni sia stata troppa la disattenzione delle istituzioni, quanto meno inefficaci sul fronte del contrasto al fenomeno.

Fenomeno che va intercettato, osservato e analizzato con attenzione per come si manifesta e, soprattutto, per quelle che sono le cause che lo generano e lo alimentano, al fine di mettere in campo tutte quelle politiche necessarie al suo contrasto. È fondamentale infatti attivare rapidamente un sistema di monitoraggio efficace, a partire dal tracciamento dei giovani che fuoriescono prematuramente dal sistema scolastico. 

Marginalità ed esclusione sociale

Tra le principali cause del lavoro minorile c’è sicuramente una condizione di disagio socio-economico profondo e di vulnerabilità di molte famiglie, oltre alla marginalità di molti contesti territoriali in cui si trovano a vivere. Povertà, marginalità, esclusione sociale sono dunque tra i principali fattori che portano troppi minori a svolgere precocemente un’attività lavorativa che li impegna durante i giorni di scuola, saltando le lezioni, non riuscendo a studiare a causa della stanchezza fino ad arrivare all’abbandono scolastico

La relazione tra lavoro minorile e dispersione scolastica è uno degli aspetti più drammatici che fa venir meno uno dei diritti fondamentali che la Repubblica, a cui la Costituzione attribuisce il compito di rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo e crescita delle persone, dovrebbe garantire. Dispersione scolastica e lavoro minorile rappresentano la più grande sconfitta delle istituzioni e di tutta la comunità.

Il diritto alla propria infanzia

Innanzitutto perché negano a bambini, bambine e adolescenti il diritto di vivere la propria infanzia e adolescenza crescendo serenamente, andando a scuola, imparando, giocando, stando con i propri coetanei, facendo sport, divertendosi. Se non lo fanno, c’è comunque una responsabilità collettiva e un fallimento delle Istituzioni.

Se le principali cause del lavoro minorile sono povertà o marginalità e quelle cause non vengono affrontate, contrastate e rimosse, quelle condizioni di difficoltà rischiano di trasmettersi di padre/madre in figlio: una condanna all’immobilità sociale per la quale se nasci in una famiglia in difficoltà socio-economiche resterai in difficoltà, se nasci in una famiglia povera resterai povero, se nasci da genitori che non hanno studiato, anche tu lascerai la scuola precocemente. 

Per prevenire e contrastare lavoro minorile e disagio è necessario rafforzare il sistema di protezione sociale mettendo le istituzioni nelle condizioni di intercettare e soprattutto rispondere ai bisogni, complessi e molteplici, espressi e inespressi di quelle famiglie e di quei minori, garantendone la presa in carico complessiva. Per questo servono politiche idonee a promuovere l’inclusione sociale di troppe famiglie che vivono in contesti di povertà, vulnerabilità e marginalità sociale.

Rimuovere le diseguaglianze

Occorrono investimenti forti, in termini di risorse, organizzazione, personale, competenze per rafforzare l’infrastruttura sociale nei territori per mettere il sistema di welfare pubblico locale nelle condizioni di garantire una pluralità di interventi e servizi volti a rimuovere diseguaglianze, povertà e rischio di esclusione. 

Colpiscono le testimonianze forti, riportate anche nella ricerca, di operatori sociali che lavorano in contesti difficili in cui il tessuto sociale ed economico è caratterizzato da “una diffusa condizione di sfruttamento lavorativo a scapito soprattutto di adulti e minori migranti” impiegati nel lavoro agricolo. Contesti con “vere e proprie sacche di marginalità in zone immediatamente esterne al centro urbano dove le famiglie, spesso migranti, si ritrovano escluse dall’accesso ai servizi primari, come quelli abitativi, sanitari, educativi”. Operatori sociali che denunciano come “oltre ai casi di minori che aiutano nei campi abbiamo segnalazioni di bambini sospesi, invisibili, che attendono ore e ore nelle auto mentre i genitori lavorano”.

Oppure contesti dove “il lavoro minorile sembra costituire un fenomeno strutturale”, con “un’ampia diffusione di attività illegali che coinvolgono bambini e giovani non intercettati dal contesto scolastico e dei servizi”.

Marginalità sociale e povertà che non va colpevolizzata ma contrastata con forza. Se la povertà è un fenomeno complesso, come tale va affrontata, con una presa in carico complessiva dei bisogni, economici, lavorativi, abitativi, educativi. L’opposto di ciò che il Governo invece si accingere a fare, superando l’unico strumento universale di contrasto alla povertà e sottraendo da questo ambito 3 miliardi di euro.

Il ruolo della scuola

Strategico poi il ruolo della scuola sulla quale occorre investire adeguatamente, anche con modelli didattici ed educativi innovativi, portando gli stanziamenti almeno in linea con la spesa media europea e adottando quelle riforme che la Cgil rivendica da tempo: estendere l’obbligo scolastico fino a 18 anni, estendere e rendere gratuiti gli asili nido, superando gli enormi divari territoriali, estendere tempo pieno e tempo prolungato, garantendo il servizio mensa, costituire classi con non più di 20 alunni.

Investire in risorse e professionalità per una vera innovazione strutturale, metodologica e didattica capace di non lasciare indietro nessuno, lavorando anche sulla motivazione dei ragazzi e su percorsi di apprendimento che forniscano a ciascuno gli strumenti per conseguire risultati positivi. La scuola deve porsi l’obiettivo di garantire a ragazze e ragazzi il successo scolastico e formativo di tutti e tutte e deve essere messa nelle condizioni di poterlo fare. Utile ricordare come il premio Nobel per l’economia James Hackman abbia dimostrato da tempo i benefici non solo sociali ma anche economici dell’investimento in educazione di qualità sin dai primi anni di vita.

Ruolo della scuola è quello di formare cittadini emancipati e consapevoli, capaci di adattarsi ai mutamenti senza subirli, consapevoli dell’importanza della formazione e della necessità di continuare ad apprendere e ampliare conoscenze e competenze per tutto l’arco della vita. Imparare a imparare. Per questo è importante rafforzare un sistema di formazione continua anche per recuperare i danni provocati da un’uscita precoce dai percorsi scolastici.

La scuola deve rendere gli studenti consapevoli dei loro diritti e tutele a partire da quelle che riguardano il lavoro. Per questo nel percorso scolastico dovrebbe essere inserita la conoscenza del diritto del lavoro e soprattutto della tutela della salute e sicurezza sul lavoro.

Ultimo tema: i datori di lavoro. Se ci sono minori che lavorano, ci sono datori di lavoro per cui lavorano. È necessario intensificare l’attività ispettiva e non lo si può fare certo esonerando le imprese dai controlli o riconoscendo ai propri consulenti ruoli che dovrebbero spettare allo Stato.

Daniela Barbaresi, segretaria confederale Cgil