È stata un colpo di cannone l’elezione di Michele Bulgarelli a segretario generale della Cgil di Bologna. Non tanto per l’anagrafe. Anche se i suoi poco più che 40 anni calati in un ruolo di responsabilità come la guida di una delle più importanti camere del lavoro, ne fanno uno degli alfieri del rinnovamento generazionale del sindacato. Quanto per la freschezza della visione che ci hanno trasmesso i concetti, le parole della sua relazione programmatica. Una in particolare, che non si sentiva da un po’, anche nel contesto sindacale. Conflitto. Una bella parola, che evoca determinazione, convinzione, partecipazione, idealismo, voglia anche di rischiare, di mettersi in gioco.

“Per raggiungere obiettivi ambiziosi come un aumento strutturale dei salari, l’assunzione a tempo indeterminato dei precari, che siano lavoratori a termine o prigionieri del sistema di appalti e subappalti, servirà agire rapporti di forza con tutte le controparti. Servirà il conflitto”, ci dice Michele Bulgarelli.

Conflitto. Una bella parola, italiana, antica, ci ricorda una tradizione a tratti dimenticata, soffocata, che ha imbarazzato molta sedicente sinistra nell’epoca di industria 4.0 e lean production. “Un’epoca in cui le aziende sono molto più esposte a perturbazioni di ogni tipo. Lo abbiamo visto con il blocco del Canale di Suez o con la pandemia e la guerra che hanno rallentato le catene di forniture cui sono demandate le consegne di componenti anche essenziali. Queste situazioni ci hanno insegnato che uno sciopero può essere molto più efficace di quanto passa nell’immaginario collettivo: ecco che il conflitto serve. È evidente nelle vertenze: anche solo l’annuncio di uno sciopero a volte può produrre un cambiamento nell’atteggiamento delle controparti”.

E poi se l’Emilia-Romagna ha la bilancia commerciale attiva più alta d’Italia e il valore aggiunto di produzione industriale da primato in Europa è anche grazie al fatto che “le aziende del territorio, caratterizzato da una forte presenza sindacale con la capacità di confliggere, hanno dovuto scegliere una via alta allo sviluppo e non competere sul costo del lavoro. Relazioni industriali salde servono anche alle aziende, che altrimenti si siedono, non innovano, pensano di competere sulla svalorizzazione del lavoro”.

Un sindacato che non ha paura del conflitto, ci spiega Michele Bulgarelli, è anche un sindacato capace di attrarre di nuovo i giovani. Parlandone, ricorda una vertenza di qualche anno fa alla FIAC Compressori (Gruppo Atlas Copco) di Pontecchio Marconi, quando lavoratori somministrati e in staff leasing, di fronte a una crisi aziendale in cui i manager li giudicarono i più deboli e sacrificabili, furono i protagonisti della mobilitazione. “Tanto che riuscimmo, primo caso in Italia, a definire incentivi all’esodo anche per loro. In quell’occasione rimasi colpito dalla combattività e dalla disponibilità a essere parte di un processo collettivo”.

Si riparte dal conflitto allora, e da alcune vertenze prioritarie in città. “Prima emergenza, il lavoro povero, gli appalti, i subappalti, settori nei quali lo sfruttamento del lavoro è evidente, forme di caporalato. Bologna – spiega Michele Bulgarelli – pur essendo tra le città più ricche d’Italia, ha sacche vere di lavoro povero. Prima priorità lotta senza quartiere alla disuguaglianza e al lavoro povero.

Seconda priorità, l’emergenza abitativa. È in atto una “milanesizzazione” di Bologna che rischia di espellere dalla città la classe lavoratrice. L’amministrazione ha idee molto forti sul medio e sul lungo periodo, rischiamo però di essere deboli sull’oggi.

Terza priorità, la necessità di portare a compimento opere infrastrutturali per implementare la mobilità collettiva e sostenibile, a partire dalla prima linea del tram”.