Come molte ragazze e ragazzi che frequentano l'Università, non solo di nazionalità straniera, oltre a studiare si dà da fare con quelli che spesso vengono definiti “lavoretti”, soprattutto durante il periodo estivo quando, sfruttando la propria conoscenza delle lingue straniere, lavora come receptionist in diversi hotel della riviera adriatica, soprattutto a Lignano e Bibione, e lo fa per anni, dal 2013 al 2016, perfettamente in regola, non solo per quel che riguarda i contratti di lavoro ma anche per ciò che attiene ai propri permessi di soggiorno puntualmente rinnovati.Avendo quindi tutte le carte in regola, fa domanda all'Inps, tra una stagione e l'altra, dell'indennità di disoccupazione (Mini Aspi per il 2013 e 2014 e la Naspi a partire dal maggio 2015), e la riceve per i periodi corrispondenti.

Negli anni la ragazza si laurea, inizia il suo percorso lavorativo e tutto quel periodo sembra appartenere al passato fin quando, nei primi mesi del 2020, arriva l’autentica doccia fredda: l’Inps di Udine, attraverso 4 provvedimenti di revoca, le chiede la restituzione delle somme percepite come Naspi e Mini Aspi in quanto, secondo loro (in adesione a quanto segnalato dalla Questura di Udine), non aveva i titoli per accedervi perché i suoi permessi di soggiorno erano dati per motivi di studio e non di lavoro. Stiamo parlando di una cifra che, riguardando 4 anni, si aggirava a poco più di 17mila euro e naturalmente la prima reazione è stata quella dello sconforto totale.

Fortunatamente la ragazza non è una sprovveduta e fa la cosa più saggia che può fare in quel momento: si rivolge al Patronato Inca Cgil che, studiato il caso, decide, in comune accordo con lo Studio Legale dell'Avv. Marco Paggi, di fare ricorso.Circa una decina di giorni fa, il 20 dicembre, la sentenza, la n. 718/2021, emessa dal Tribunale di Padova, sezione del Lavoro, dal Giudice dott. Maurizio Pascali, con la quale veniva accertato il diritto della ricorrente all’indennità Naspi e mini aspi senza obbligo di restituzione delle somme percepite e condannava l'Inps alle spese processuali.“In sostanza è stata una vittoria totale – dice soddisfatta Antonella Franceschin, Direttrice del Patronato Inca Cgil di Padova – ed è motivo di particolare orgoglio il fatto che, a quanto ci risulta, è la prima del genere in Italia e quindi, crediamo, farà scuola. Di questo ringraziamo lo Studio Legale dell'Avv. Marco Paggi e l’Avv. Rosalinda Dieghi che hanno seguito la causa in Tribunale. Fin da subito, insieme a loro, abbiamo ritenuto erronea la motivazione con la quale l'Inps aveva intimato alla studentessa-lavoratrice la restituzione degli importi versati e cioè il non essere in possesso di un titolo di soggiorno utile allo svolgimento di un'attività di lavoro subordinato e quindi di non aver diritto all'indennità di disoccupazione”.

“Ma su questo – prosegue Antonella Franceschin – le norme che disciplinano la materia immigratoria sono molto chiare e prevedono, al contrario (all’art 14, comma 4 del DPR 394/1999) la possibilità per i titolari di un permesso di soggiorno per motivi di studio di svolgere attività lavorativa subordinata per un tempo non superiore alle 20 ore settimanali, anche cumulabili per 52 settimane, fermo restando il limite annuale di 1040 ore. E tali ore lavorative, possono essere svolte mediante part-time orizzontale o verticale, o con full-time per limitati periodi all’anno, come si trattava nel nostro caso. L'importante è rispettare il limite annuale di ore lavorative, cosa che, allora, la studentessa-lavoratrice aveva fatto. Forti di questi argomenti abbiamo fatto ricorso e la giustizia ci ha dato ragione”.

“Una vittoria importante per tanti buoni motivi – aggiunge Palma Sergio, della Segreteria Confederale della Cgil di Padova – a partire dal fatto che è stata ottenuta dopo che la studentessa/lavoratrice/immigrata si è rivolta con fiducia ai nostri uffici presso il Patronato Inca e al Dipartimento Immigrazione. Un risultato che non a caso è stato ottenuto a Padova, una città che, ricordiamo, è sede della Commissione Stranieri rieletta quest'estate ed è meta di tantissime persone provenienti da tutto il mondo, in particolare di ragazze e ragazzi di Paesi Esteri Comunitari e non che, come in questo caso, vengono nella nostra città per studiare e formarsi in quello che è uno dei più rinomati ed ambiti Atenei universitari, spesso lavorando per mantenersi agli studi.

Si tratta di una situazione comune a molte e molti ragazze e ragazzi italiani e questa sentenza aiuta anche loro. Certo, assume un rilievo particolare perché la protagonista di questa vicenda è una giovane donna “straniera”, il prototipo delle categorie fragili di questo Paese (giovane, donna, immigrata), soprattutto in questa fase storica socio-economica segnata dalla pandemia. Come Cgil siamo molto soddisfatti quando riusciamo a fornire un aiuto concreto a chi si rivolge a noi per ottenerlo. E quando ci riusciamo, come in questo caso,  ad essere tutelate non sono solo le singole persone coinvolte ma l'intera collettività che ne esce rafforzata".