Inatteso, surreale, grottesco, ingiustificato, irresponsabile, schizofrenico, disastroso, vergognoso, svantaggioso, impresentabile, deleterio, imbarazzante, dannoso, ridicolo, patetico, controproducente, eversivo, vile, sfigato, paradossale, ideologico, pericoloso, folle.

No, non è il giudizio sul governo Draghi, bolscevichi lettori di Collettiva che non siete altro. Questo lungo elenco di affettuosi epiteti, apparso sui principali giornali e tv di tutto il Paese in questi ultimi giorni, si riferisce al vecchio e vituperato sciopero generale. Ricordate? La possibilità di incrociare le braccia... quel diritto che si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano... articolo 40 della Costituzione... quella robetta lì, insomma.

Un diritto osteggiato dai nostri governanti e dai loro sodali compagni di ventura con una saccenteria e cattiveria che nemmeno Nikolaj Vsevolodovič Stavrogin ne I demoni di Dostoevskij. Ma di cosa hanno paura? Di quali spiriti malefici temono rappresaglie? Ci rimarranno male i corvi appostati sull’obelisco di piazza del Popolo a Roma e nelle altre agorà del lavoro di Milano, Bari, Palermo e Cagliari nel vedere quella gente. Tanta gente. Persone in carne, ossa e mascherina a manifestare un disagio non più silente e che stride con il sorriso a trentasei denti e a reti unificate di Palazzo Chigi.

Resteranno a bocca aperta nel vedere piazze pacifiche e colorate. Certo, un po’ più incazzate del solito vista la posta in gioco. Una delle rare occasioni per ricordare al governo che non si accontentano del pane raffermo, ma vogliono anche le rose, e le vogliono pure belle e appena fiorite. Che la pandemia non può essere il solito alibi in cui mettere in pausa la democrazia e anestetizzare il dissenso. Che le disuguaglianze non si combattono occultando il cadavere di chi sta peggio. Che la precarietà non può considerarsi una forma dignitosa di vita nell’Italia del nuovo rinascimento draghiano. Che il lavoro va difeso a prescindere e che un licenziamento via whatsapp è un crimine contro l’umanità.

Che le tasse si pagano con progressività e senza strizzare l’occhio al furbetto del Suv in doppia fila. Che il salario deve arrivare fino all'ultimo giorno del mese e magari pure avanzare. Che ai giovani non va più data la speranza del sol che non sorge mai, ma la concretezza di poter pagare un mutuo e mettere su famiglia. Che la pensione deve essere un diritto e non una mancia. Che l’uguaglianza di genere non dura il tempo di una mimosa. Che quando si pronuncia la parola “futuro” il magone non ci deve togliere il respiro.

È da folle pensare tutto questo? Pazienza. Bertrand Russell sosteneva: “L’equilibrio tranquillizza, ma la follia è molto più interessante”. Buono sciopero generale a tutti.