La Terra è piatta per il 5,8% degli italiani intervistati dal Censis per il Rapporto 2021. Per il 5,9% dei nostri connazionali (circa 3 milioni) il Covid semplicemente non esiste, per il 10,9% il vaccino è inutile. E non c’è solo la Terra della cosmogonia mesopotamica, c’è anche il negazionismo astronautico visto che per il 10% l'uomo non è mai sbarcato sulla Luna. Questi sono i titoli che hanno fatto più notizia nei giorni scorsi e hanno fatto parlare di un’emergenza di “un Paese irrazionale”. Ma non c’è solo questo nel Rapporto Censis 2021, che come ogni anno descrive i cambiamenti sociali nel loro divenire. Per noi il Rapporto è una miniera di informazioni che andrà studiata. Cominciamo dal lavoro.

Domanda-offerta impazzita
I dati sul mercato del lavoro sono impietosi, soprattutto per i giovani e le donne. Nel confronto tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 - si legge - i giovani occupati 15-34enni sono particolarmente colpiti dalla perdita del lavoro. I ricercatori del Censis mettono in evidenza le crisi più pesanti: alberghi e ristorazione (più della metà dei 246.000 occupati in meno nel settore); industria in senso stretto, dove la riduzione ha riguardato essenzialmente la classe più giovane (-80.000), mentre le componenti più anziane registrano un aumento di circa 50.000 occupati; attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese. A fronte di una riduzione complessiva di 104.000 occupati, 80.000 hanno riguardato gli occupati più giovani (il 76,8% del totale degli occupati in meno). Nel commercio si osserva invece una maggiore esposizione alla perdita di lavoro da parte dei 35-49enni: su 191.000 occupati in meno, 118.000 riguardano la classe d’età centrale e 56.000 i 15-34enni.

Va peggio per le donne
Se alla lettura dell’andamento occupazionale per età si affianca la variabile di genere, la sperequazione nella possibilità di resistere alla perdita del posto di lavoro vede nelle donne ancora una volta il segmento più svantaggiato. Al secondo trimestre di quest’anno, il tasso di occupazione totale, che per gli uomini raggiunge il 66,6%, presenta un divario di oltre 18 punti a sfavore delle donne. Nella classe di età 15-34 anni, la distanza da colmare per le donne è di 13 punti, ma in ogni caso solo 32 donne su 100 risultano occupate o in cerca di una occupazione.

Un ingegnere italiano guadagna la metà del collega tedesco
Per Andrea Toma, uno dei curatori del Rapporto Censis 2021, la chiave interpretativa principale per capire i fenomeni riguarda la mancanza di risposta alle attese. “C’è un atteggiamento di attendismo, di attesa quasi fideistica – spiega Toma –. C’è una grande preoccupazione di rimanere ai margini, le retribuzioni sono basse, i contratti sono quasi tutti a tempo determinato, la disoccupazione non schioda. E anche il fatto che non si trovano lavoratori per certi impieghi rischia di diventare una leggenda metropolitana. Mi viene in mente la battuta del presidente Biden: non trovate lavoratori? Pagateli di più”. D’altra parte, come si vede dal Rapporto Censis e da tutti gli studi sul mercato del lavoro, uno dei problemi cronici dell’Italia è la scarsa valorizzazione del lavoro, anche qualificato. “Un ingegnere da noi guadagna magari 1.300 euro al mese – ricorda Andrea Toma – per lo stesso lavoro in Germania o in Francia guadagnerebbe 3000 euro al mese dopo aver studiato all’università pagando tasse molto più ridotte delle nostre”. 

Confermate tutte le nostre preoccupazioni
Secondo Tania Scacchetti, segretaria confederale Cgil con delega alle politiche del lavoro, “la fotografia del mercato del lavoro evidenziata dal Censis è alla Cgil purtroppo ampiamente nota e conosciuta. Un mercato del lavoro sclerotizzato e sempre più precario. Bassi tassi di occupazione, alti tassi di disoccupazione, alta inattività. I giovani e le donne che hanno pagato e continuano a pagare il prezzo più alto, anche di fronte alla ripresa del Pil, che non trascina un'adeguata crescita della occupazione”. È anche molto importante sottolineare il fatto che le sperequazioni aumentano con la pandemia. In questi mesi è stato evidente il fenomeno dell’esposizione delle donne, che scontano più di prima un forte gap, quando lavorano, in termini di ore lavorate e di reddito percepito.

Addio al lavoro?
Condizioni che se non affrontate alimentano aspettative negative e insicurezza sociale in modo drammatico. “Con queste cifre potrebbe non essere del tutto infondata la tesi che insicurezza, precarietà e aspettative negative nei confronti delle opportunità di crescita professionale e di ritorno in termini di reddito si condensino in una certa disaffezione nei confronti del lavoro e che la sfera lavorativa perda sempre più centralità nella vita delle persone, soprattutto se giovani”, si legge nel Rapporto. “Una fotografia, questa – dice ancora Scacchetti - che rende evidente quanto sia necessario e non rinviabile una riflessione pubblica sullo stato della occupazione nel nostro Paese, sulla sua qualità e sulla necessità di orientare le risorse a disposizione del Pnrr a investimenti e scelte economiche che facciano crescere l’occupazione, in primis quella dei giovani e delle donne. Per questo la pubblica amministrazione, a partire dalla sanità e dalla istruzione dovrebbero davvero essere considerati motore dello sviluppo e centrali nella ripresa. Altro fattore rilevato nel rapporto è la grande consapevolezza degli italiani che la pandemia lascerà dietro di sé non solo una società con una  profonda crisi occupazionale ed economica, ma soprattutto una società in cui cresceranno le persone vulnerabili. Una società quindi in cui le disuguaglianze si ampliano e non si restringono”. I fenomeni negativi non potranno che peggiorare se non si interviene. “È evidente che si deve invertire una tendenza degli ultimi anni che non ha fatto altro che svalorizzare il lavoro”, commenta Andrea Toma sulla base della sua ricerca del Rapporto relativa al mercato del lavoro. La spinta all’irrazionalità e la rifiuto deriva anche da questo. Anche tra precarietà e modo di vedere il mondo c’è un rapporto evidente.

Il problema della rappresentanza
L’altro grande tema che viene affrontato nel Rapporto riguarda la rappresentanza. Il rischio di delegittimazione della rappresentanza ha una sua misura nella quota di lavoratori in attesa di rinnovo contrattuale, l’area dell’esposizione al rischio di dumping contrattuale può essere indirettamente misurata dal livello di concentrazione dei lavoratori rappresentati nel minor numero di contratti di riferimento, ma più rilevanti in termini di datori di lavoro e di lavoratori interessati. Dalle analisi del Cnel, alla data del 30 giugno 2020, in soli 7 contratti in attesa di rinnovo si concentrano 6,2 milioni di lavoratori e 738.000 imprese o datori di lavoro. Sul totale dei lavoratori in attesa di rinnovo, i 7 contratti coprono una quota del 46,6%, ma se si esclude il comparto pubblico e si prende in considerazione il solo comparto privato, la quota sale al 61,6% Il 37,6% dei lavoratori dei 7 contratti fa riferimento a quello delle aziende del terziario, della distribuzione e dei servizi, mentre un altro 24% fa riferimento al contratto dei dipendenti delle aziende metalmeccaniche e dell’installazione di impianti. In totale, questi due contratti rappresentano oltre il 60% dei lavoratori con contratti scaduti (3,8 milioni di lavoratori interessati). Se si aggiunge il contratto del turismo, la percentuale sale al 73,3%.

“Se quello che si descrive è l’indebolimento del potere contrattuale – commenta Tania Scacchetti - per il  numero dei lavoratori ancora in attesa di contratto oltre che per la crescita del numero dei contratti collettivi nazionali sottoscritti da soggetti di scarsa rappresentatività, allora diventa di fortissima attualità sia la necessità di rinnovare i contratti, a partire da quelli pubblici, che l’affrontare il tema della misurazione della rappresentanza e della rappresentatività dei soggetti contrattuali. Una sfida che Cgil Cisl e Uil hanno accettato con la sottoscrizione del Testo Unico del 2014 e che ora deve trovare ulteriori risposte e azioni, anche di tipo legislativo”.