Prendete una regione di 900mila abitanti con poco più di 350mila occupati. Considerate una crisi economica più che decennale e altri 10 punti di pil che se ne andranno nel 2020. Tenete a mente il terremoto del 2016 e il lungo elenco di crisi aziendali. Poi, metteteci sopra altri 30mila posti di lavoro che potrebbero andare in fumo con lo sblocco dei licenziamenti. Quale è il risultato? Un mix potenzialmente letale per una regione fragile come l'Umbria. 

Ecco perché il 2021 sarà un anno da dentro o fuori per il “cuore verde” (ormai in tutti i sensi) d'Italia. O la piccola regione sarà in grado di interrompere quel piano inclinato su cui, da troppo tempo, sta scivolando, oppure la pendenza aumenterà drasticamente e la caduta sarà allora inevitabile. Una prima proposta, semplice e immediatamente attuabile, l'hanno avanzata in questi giorni i sindacati umbri, Cgil, Cisl e Uil: creare una task force regionale, una sorta di cabina di crisi permanente, per la gestione dell'emergenza lavoro, che affronti sia le vertenze aziendali aperte (ce ne sono molte e con centinaia di lavoratori a rischio, dalla ex Merloni alla Treofan, dalla Sogesi alla Sangemini, solo per citare le più grandi), sia quelle che si apriranno in futuro, senza il bisogno di riavviare ogni volta l'interlocuzione istituzionale da zero. Ma soprattutto la task force dovrebbe preparare un “cuscino” per assorbire il colpo che arriverà inevitabilmente con il venir meno di quel provvedimento che finora ha davvero tenuto in piedi la baracca: cioè il blocco dei licenziamenti, fortemente voluto, non a caso, proprio dalle organizzazioni dei lavoratori.

Quello che succederà a marzo, quando avverrà lo sblocco, non è ovviamente noto. Ma ci sono delle previsioni, come quelle formulate dall'Aur (Agenzia Umbria ricerche) che non lasciano affatto tranquilli. Intanto, già nel 2020 la perdita di occupati è stata molto consistente: circa 13mila solo nei primi 6 mesi dell'anno. E poi ci sono i cassintegrati che, in Umbria come in Italia, sono stati moltissimi: da aprile a settembre 2020, nella regione sono state autorizzate quasi 42 milioni di ore di cassa integrazione (ordinaria, straordinaria, in deroga) e di fondi di solidarietà, a fronte dei poco più di 4 milioni di ore dello stesso periodo dell’anno precedente. 

È evidente che se questa è la situazione di partenza, gli scenari per i prossimi mesi sono potenzialmente drammatici. Le stime che Aur fa sulla perdita di occupati derivante dal combinato disposto di default aziendali e sblocco dei licenziamenti porta appunto fino alla cifra (nella peggiore delle ipotesi) di 30mila posti di lavoro in meno: per capirci, la popolazione di una città come Gubbio, la sesta della regione per abitanti. 

“Deve essere chiaro che questa, insieme alla lotta al virus, è la priorità assoluta per la nostra regione – afferma Vincenzo Sgalla, segretario generale della Cgil dell'Umbria – di qui la nostra richiesta alla Regione, a partire dall'assessorato allo Sviluppo Economico, di creare subito una struttura permanente, un luogo di discussione e confronto preventivo, che si attivi automaticamente ogni qualvolta ci siano criticità e posti di lavoro a rischio, attraverso un uso della solidarietà difensiva, della formazione e della riqualificazione professionale, con l’obiettivo di non perdere nemmeno un altro posto di lavoro”.