Come sarà il mondo dopo il Covid, alla luce della rivoluzione digitale in atto? Questo il tema della discussione di oggi, nella tavola dal titolo “La rivoluzione tecnologica: ripensare il cambiamento”, che si è svolta al Teatro Brancaccio di Roma nella seconda giornata di “Futura: lavoro, ambiente, innovazione”.

L'incontro, moderato da Riccardo Luna de La Repubblica, si è aperto con l'intervento di Mauro Magatti, sociologo e docente Università Cattolica di Milano: “Quella di oggi è una crisi di lungo periodo, che incide in maniera emozionale e profonda, perché tocca la quotidianità e la morte. È un'esperienza che ci cambia in profondità e lascerà molte tracce: non si tornerà al mondo di prima, chi lo pensa fa un 'secondo negazionismo'". Alcuni cambiamenti sono già per strada, basti guardare allo smart working. Si tratta di un “punto di non ritorno storico” secondo Luciano Floridi, filosofo e docente Università di Oxford: “Come la prima guerra mondiale ha aperto il Novecento, ora con il virus abbiamo finito la benzina dello scorso secolo. Oggi serve un modo europeo di guardare all'innovazione e al digitale: bisogna avere un po' di progrettazione verso il futuro superando l'eredità novecentesca".

Nella tecnologia non c'è nulla di inevitabile: finora è stata utilizzata male dopo trent'anni di liberismo. Così Fabrizio Barca, economista, coordinatore Forum Disuguaglianze e Diversità. “Il lavoro a distanza può essere usato male o bene – a suo avviso -: può essere fattore di emarginazione e solitudine, ma anche uno strumento straordinario di autonomia e innovazione. Bisogna pensare collettivamente". A proposito del prossimo futuro Fabio Lazzerini, amministratore delegato Italia Trasporto Aereo spa, ha fatto il punto sulla nuova Alitalia: “Stiamo disegnando una società piatta, senza molti livelli né figure. Far nascere un'azienda nuova è anche un'occasione, in un periodo in cui il trasporto aereo è al 30% del normale, a patto di avere la capacità di interpretare il domani”.

A portare la posizione della Cgil è il segretario confederale, Emilio Miceli. “Il problema non è se l'innovazione piace o no. Ci troviamo di fronte a un fatto assolutamente nuovo, che non succede tutti i decenni ma abbiamo già conosciuto: siamo nati su una rivoluzione industriale. Nei momenti di crisi sempre stato predetto il declino delle forme associative di massa, eppure siamo qui, impegnati a governare i fenomeni nuovi”. Miceli riflette sulla natura della digitalizzazione: “È anche accentramento, riaffermazione delle gerarchie, esclusione delle conoscenze. Il digitale è anche questo. Serve l'intervento della società, l'Europa deve cimentarsi affrontando il nesso tra partecipazione democratica e innovazione. Altrimenti - avverte - avrà vita facile chi restringe la democrazia":

(con la collaborazione tecnica di Mauro Desanctis)