Un’ecatombe, a giudicare dai dati. Quasi 20 mila gli addetti in esubero (rispetto al totale di circa 100 mila unità occupate nel settore, per l’80% costituito da donne) e un crollo medio di oltre il 60% del fatturato delle aziende. È il profilo attuale della ristorazione collettiva, settore pesantemente segnato dalla pandemia da coronavirus, tanto da registrare le perdite più ingenti in assoluto in termini produttivi, assieme a tutto il comparto formato da bar e ristoranti. Prima la fase del lockdown, con il pressoché totale blocco dell’attività, poi il periodo di post confinamento, con gli uffici ancora vuoti e il servizio mensa congelato a causa del perdurare dello smart working. Uno scenario inedito, che ha stravolto il comparto, tanto da mettere in discussione anche la vecchia idea di mensa aziendale e la stessa dicotomia casa-lavoro.

Ora il servizio è ripartito, almeno in parte, per quanto riguarda soprattutto le mense di scuole, industrie e ospedali, che, assieme a quelle delle Rsa, non hanno mai chiuso completamente. Ma resta fermo al palo quello legato a terziario avanzato e servizi (Telecom, Eni, Poste italiane, Vodafone, solo per citare alcune fra le aziende più importanti), dove il ricorso massiccio al telelavoro ha cancellato milioni di pasti (nel 2019 complessivamente il settore era arrivato a sfornarne 210 milioni, oggi se ne calcolano quasi la metà) e miliardi di introiti (s'ipotizza una perdita di 2,5, rispetto a un ammontare complessivo di 6 miliardi). E per la fine dell’anno, perdurando la situazione, si prevede che il calo delle entrate si attesti attorno al 35%. Dunque, la crisi è destinata a durare ancora a lungo, con tutto quello che comporta di riflesso in termini occupazionali.

Il sindacato è assai preoccupato per i lavoratori delle mense. “Assieme alle altre organizzazioni sindacali e con le associazioni datoriali di imprese e cooperative, abbiamo fatto richiesta rispettivamente per un incontro con il ministero dell’Istruzione e con il ministero del Lavoro per esaminare la situazione delle mense scolastiche e di quelle aziendali", osserva Cinzia Bernardini, della segreteria nazionale Filcams Cgil: "Siamo tutti d’accordo nel valutare grave il quadro. Per questo ci aspettiamo risposte urgenti dal governo, in termini di ammortizzatori sociali dedicati, prima che tutto precipiti. Per quanto riguarda le scuole, siamo riusciti, a forza di scioperi e mobilitazioni, a ripartire in presenza nella maggior parte degli istituti, ma ci sono ancora ritardi rispetto alla ripresa completa del servizio che vanno superati, rispetto ai quali le istituzioni locali, gli istituti scolastici e le imprese devono fare velocemente la propria parte". Nel caso delle mense aziendali, invece, quasi nessuna sta riprendendo il servizio completo "e molte sono sempre ferme: per queste, sono necessari ulteriori interventi normativi a sostegno del reddito e per la tutela dell’occupazione”.

Entrambe le parti sociali concordano poi nel ritenere a rischio molte migliaia di posti di lavoro. Gli ammortizzatori sociali messi in piedi nei mesi scorsi non sono sufficienti per il settore. Oggi la cassa integrazione in deroga per l’emergenza Covid-19 per le mense aziendali riguarda quasi 14 mila addetti, pari a circa il 70% del totale: molti di questi sono a zero ore, mentre altri fanno un numero limitato di ore. “Di sicuro - afferma la dirigente sindacale - sarà necessario il proseguimento degli ammortizzatori in deroga o l’individuazione di nuovi, compatibili con il tempo necessario alla ripresa del comparto. Anche perché lo smart working sta avendo ricadute pesantissime sul servizio delle mense. Sarà necessaria una riorganizzazione del settore a tutti i livelli e si deve tener conto che il ricorso spinto al lavoro agile ha riflessi assai negativi anche su bar e ristoranti. Sono necessari strumenti che accompagnino questi processi riorganizzativi, mettendo in sicurezza lavoratrici e lavoratori in termini di tutela delle competenze e professionalità, ma soprattutto di salvaguardia occupazionale”.

Nel contempo, a giudizio delle organizzazioni sindacali di categoria, va aperta una riflessione complessiva sul telelavoro, che deve essere necessariamente concordato e regolato. In caso contrario si rischia, come effetto immediato, una perdita massiccia di posti di lavoro. “Ci vuole la giusta considerazione del fenomeno", sostiene ancora la sindacalista: "Intendiamoci, non siamo certo contro il lavoro agile, ma bisogna tener conto anche dei costi sociali che può comportare. Per questi settori chiediamo un intervento di governo e Parlamento per poter gestire la transizione e ragionare non solo su come cambierà il lavoro, ma anche su come scongiurare le conseguenze negative che potranno verificarsi”.   

Anche la controparte datoriale vede decisamente oscuro lo scenario del settore. “Il futuro della ristorazione aziendale è critico", spiega Carlo Scarsciotti, presidente di Angem (l'Associazione nazionale della ristorazione collettiva): "Occorre implementare un impianto ibrido, con un approccio equilibrato fra lavoro in presenza e smart working. Il ricorso massivo al telelavoro mette in crisi un indotto economico connesso a tutta la mobilità lavorativa, in cui rientra a pieno titolo anche la ristorazione aziendale, dove circa 20 mila lavoratori sono diventati invisibili, una miriade di persone e professionalità che stiamo cercando in ogni modo di mantenere con gli ammortizzatori sociali. Perciò, riteniamo che il lavoro agile non possa continuare in eterno con tale dinamica, e non sia sostenibile a lungo termine per le aziende nostre affiliate. Se non ci sarà un’inversione di tendenza, le piccole e medie imprese rischiano la chiusura”.

Anche perché, come illustra Oricon (l’Osservatorio sulla ristorazione collettiva e la nutrizione), oltre ai mancati introiti, si devono considerare anche gli aumenti dei costi di gestione, maggiorati del 20-30%, che equivalgono a una spesa di 1,50 euro in più a pasto. “Le aziende – rileva Scarsciotti – stanno procedendo alla rinegoziazione dei contratti, ma non è chiaro su chi ricadranno i maggiori oneri. Speriamo che non vengano penalizzate le famiglie, già gravate dalla crisi economica in atto. Stando così le cose, abbiamo calcolato che gli enti locali dovranno trovare almeno 300 milioni in più. A meno che a intervenire non sia lo Stato”.

Nel frattempo, c’è anche chi ha sospeso il servizio mensa. È il caso della Telecom, che non ha rinnovato il contratto di appalto, in scadenza il 31 agosto scorso, a Elior, la multinazionale francese che gestisce il servizio nelle sedi di Roma, Milano, Napoli e Bari del gruppo delle telecomunicazioni. La conseguenza della scelta di Telecom, alla quale la Filcams sta chiedendo di recedere dalla decisione presa, è che Elior, unilateralmente e colpevolmente, ha 'sospeso' dal lavoro e dallo stipendio i 140 addetti. Un atto grave, a giudizio del sindacato, contro il quale le organizzazioni dei lavoratori sono pronte a mettere in campo tutte le iniziative di contrasto necessarie.