Li abbiamo chiamati "eroi", abbiamo visto i loro volti segnati dalle mascherine, illividiti dalla stanchezza e dallo stress, il fisico segnato dagli orari senza sosta. Gli operatori sanitari erano quelli “in prima linea” nonostante tutto. Quelli pronti a pagare a rischio della propria vita il peso di un’emergenza senza precedenti. Mentre ancora la pandemia da Covid-19 spazza gran parte del mondo e allenta la morsa sull’Italia, sono i numeri a riportare questi lavoratori al centro della scena. I loro numeri: fatti di sofferenza, malattia e, a volte, persino morte.

Secondo il rapporto pubblicato da Amnesty International, il bilancio è di oltre 3000 operatori sanitari che hanno perso la vita in 79 Paesi a seguito del contagio. Russia, Regno Unito, Stati Uniti e Brasile gli Stati con il maggior numero di vittime tra i professionisti della sanità. Segue l’Italia con 188 vittime indicate dalla Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri e dal portale Medscape. Dall’inizio dell’emergenza al 30 giugno i casi di Covid-19 tra gli operatori sanitari italiani hanno superato quota 29mila, più del 12% del totale.

"Ci siamo resi conto da subito degli effetti della diffusione del virus tra gli operatori sanitari, che come questo rapporto certifica ha causato la morte di 188 lavoratrici e lavoratori nel nostro paese. - conferma Michele Vannini, segretario nazionale della Fp Cgil - Per queste ragioni, infatti, abbiamo denunciato immediatamente le carezze di dispositivi di protezione individuale (Dpi) e di personale. Una pressione che ci ha portato a sottoscrivere col Ministero della Salute il 25 marzo un protocollo sui temi della salute e della sicurezza molto stringente. Un testo che definisce impegni e procedure per la sicurezza di tutto il personale che lavora nei servizi e nelle strutture sanitarie, socio sanitarie e socio assistenziali e nei servizi territoriali, sia pubblici che privati, in relazione all’emergenza sanitaria da Covid-19. Ed è stata l’applicazione di questo protocollo che, dopo una prima fase di natura emergenziale, ci ha permesso di contenere la diffusione tra i lavoratori dei servizi sanitari. Il tema adesso è mantenere alta la soglia di attenzione, continuare a garantire ovunque Dpi, senza abbassare la guardia”.

Per Rossana Dettori, segretaria della Cgil nazionale, lo studio della ong è la prova che occorre superare lo stereotipo dell'eroismo e riconoscere effettivamente il valore del lavoro degli operatori sanitari mettendoli in sicurezza: "A questo proposito - commenta - chiediamo al governo di non rinunciare alle risorse del Fondo Salva Stati (Mes), occasione unica di restituire efficienza al settore sanitario anche attraverso assunzioni e un potenziamento delle infrastrutture"

Dal canto suo Amnesty International pubblica la ricerca globale e lancia un appello ai governi di tutto il mondo affinché inizino “ a prendere sul serio la salute e la vita degli operatori sanitari. Chiediamo a tutti gli Stati colpiti dal Covid-19 di rivedere in modo indipendente e pubblico la preparazione e la risposta alla pandemia, allo scopo di proteggere meglio i diritti umani e le vite nel caso di un nuovo scoppio” ha dichiarato la ricercatrice Sanhita Ambast. La vera sfida è evitare di ripetere errori già commessi.

Dietro i numeri e dietro quegli errori ci sono storie e vite: come quella di Tainika Somerville, infermiera statunitense, licenziata per aver pubblicato un video su Facebook nel quale leggeva una petizione in cui chiedeva maggiore sicurezza. Al 29 maggio, nella struttura sanitaria dove lavorava c’erano stati 34 contagi e 15 morti da Covid-19 eppure il personale aveva saputo la notizia dai mezzi di informazione e non dalla direzione.  Storie e vite come quelle delle dottoresse russe Yulia e Tatyana, russe che volevano lavorare protette e che rischiano una multa salatissima e il licenziamento. 

Il dato che emerge dallo studio e che accomuna gli operatori sanitari, in quasi tutte le nazioni, è proprio la grave scarsità dei dispositivi di protezione individuale con un pericolo fortissimo in paesi come India, Brasile e in un continente come l’Africa dove il peggio potrebbe ancora arrivare. Tra l’altro in alcune nazioni quei lavoratori che hanno avuto la forza di denunciare sono stati vittime di rappresaglie, finendo a casa senza un lavoro o al limite e paradossalmente anche agli arresti, per esempio in Russia, Malesia ed Egitto. E poi c’è la beffa di chi lavora a costo della vita ma ricevendo salari ingiusti o addirittura non essendo neppure pagato. Secondo Amnesty non ci sono più scuse: i governi dovranno essere chiamati a rispondere delle morti di operatori sanitari cui non hanno fornito strumenti di protezione durante la pandemia come dovranno risarcirli adeguatamente se contagiati durante lo svolgimento delle loro attività. Che paghino per le loro colpe.