Nell'Italia colpita dal Covid-19 i settori industriali sono entrati in crisi: non solo quelli già in difficoltà, ma anche i comparti che storicamente hanno avuto un andamento positivo con una crescita costante. È il caso dell'aerospazio, secondo settore industriale del Paese dopo l'automotive, con 40 mila lavoratori diretti e 80 mila dell'indotto: oggi rischia una paralisi senza precedenti. L'allarme è stato lanciato dalla Fiom, che per rendere la gravità della situazione ha suggerito una data: il settore potrebbe tornare a regime, e non in tutti i segmenti, non prima del 2023.

A fare il punto con Collettiva è il coordinatore nazionale della Fiom per il settore aerospazio, Claudio Gonzato. “È entrata in pesante crisi la parte del trasporto civile, che avrà ripercussioni gravi su tutta la produzione" dice l'esponente sindacale, precisando che "sul militare c'è attualmente un'incognita: bisogna verificare se i programmi definiti dai vari governi saranno mantenuti. La flessione incide sui grandi gruppi, naturalmente, ma colpisce soprattutto le aziende di fornitura, in particolare le piccole e medie imprese”.

Il sindacato dei metalmeccanici ha chiesto di aprire subito un tavolo con il governo. “L'esecutivo ha previsto risorse per salvare la maggiore compagnia di trasporto aereo, Alitalia: non è pensabile che l'intervento finisca lì, bisogna prevedere risorse anche per l'aerospazio”. Servono ammortizzatori sociali, il blocco dei licenziamenti oltre l'estate, più in generale un impegno di finanziamento pubblico che consenta al settore di superare una crisi che sarà lunga. E non basta certo un incontro formale: occorre avviare un tavolo permanente al ministero dello Sviluppo economico con la regia della presidenza del Consiglio.

Con l'arrivo del virus anche l'aerospazio si è trovato davanti a un'emergenza improvvisa. “Si è affrontata la fase emergenziale con spinte scellerate da parte del governo – così Gonzato -: con il decreto del 22 marzo ha mantenuto aperte tutte le aziende del settore. In altre parole, durante il lockdown l'Italia ha continuato a produrre F35, missili e siluri. Nel decreto c'era scritto semplicemente che l'aerospazio non chiudeva, quindi abbiamo visto persone recarsi nei luoghi di lavoro per costruire sistemi missilistici, che ovviamente potevano ritardare di tre mesi. Questo ha generato un paradosso: al tempo non si è chiuso, si rischia di chiudere adesso”.

La situazione infatti è ogni giorno più complicata. “Le aziende chiedono la cassa integrazione e si impone il tema dei licenziamenti", riprende Gonzato: "Se nelle grandi imprese stiamo gestendo la situazione, seppure con difficoltà, le piccole e medie aziende diminuiscono drasticamente l'attività a causa del crollo di richieste di forniture”. Una crisi, come accennato, che arriva in un settore da sempre in positivo: “Dal dopoguerra in poi l'aerospazio ha conosciuto una crescita costante. Non si è mai fermato, tranne un lieve calo nel 2001 dopo le Torri Gemelle, ma di fatto l'incremento è stato continuo per gli spostamenti, il turismo, la mobilità delle persone e i costi bassi dei voli”. Ecco perché preoccupa il presente, ma anche il futuro: “Dopo il virus la gente riprenderà a volare?", si chiede il coordinatore nazionale Fiom: "Difficile che l'uso degli aerei torni subito come prima”.

Una questione, infine, che non si limita ai soli meccanici, ma coinvolge anche altre figure: “Dentro l'aerospazio abbiamo lavoratori elettrici e della chimica, ad esempio, c'è un'intera filiera produttiva oggi in bilico. Se non si interviene con un finanziamento vero rischiamo che il Paese resti tagliato fuori”. Anche per questo, dunque, il confronto col governo “è sempre più urgente e non si può rimandare”.