“Salve, vi scrivo perché sono una lavoratrice dipendente senza contratto e mi sento lasciata completamente sola. Il governo non ha stanziato niente per chi era a nero e non posso usufruire della sospensione del mutuo per questo motivo. Che devo fare? Sono disperata.  Grazie Monica”. Questa lettera ci ha raggiunto via mail proprio mentre Collettiva muoveva i prima passi. L’autrice, inconsapevolmente, ha colto il senso del compito che vogliamo svolgere: dare voce ai lavoratori e alle lavoratrici, raccontare la loro condizione. L’abbiamo cercata.

Monica per molti anni ha realizzato il proprio sogno di bambina: vendere scarpe. Ha cominciato a farlo quando ancora non aveva conseguito la maturità all’istituto per il turismo della sua città, Firenze. Il sogno si interruppe poi sembrava realizzarsi di nuovo ed invece si è trasformato in un incubo. Ci racconta la sua storia con una voce fragile che via via diventa più dura di rabbia. “Ho 46 anni e non ancora ventenne ho varcato la soglia di una grande negozio in centro, eravamo 18 dipendenti, vendevamo calzature, era il mio desiderio. È durato dal 1993 al 2014, contratto regolare, contributi e diritti in regola. Poi la crisi e il fallimento e siamo state licenziate. Il nostro titolare era una persona per bene e anche in quella circostanza lo ha dimostrato”. Ricorda Monica che la Cgil è stata, in quell’occasione, una sorta di grande famiglia che le ha accompagnate in una vicenda comunque difficile e dolorosa che ha consentito a chi perdeva il lavoro di divincolarsi nella burocrazia con “semplicità”.

Poi è cominciato il periodo dei lavoretti, come commessa, come accompagnatrice turistica, rispolverando il vecchio diploma mai utilizzato. Ma di lavoretti non si vive e Monica - un marito dipendente di una ditta che consegna alimenti surgelati, un figlio oggi quindicenne e un mutuo da pagare - di salario ha necessità. È una donna tenace, lo si capisce dal modo di parlare di sé, di raccontare di una condizione non facile, si rimbocca le maniche e cambia vita accetta una lavoro come collaboratrice domestica in una famiglia, perbene sottolinea, che l’assume con contratto regolare. Ma il lavoro è duro, distante dal suo domicilio, protratto nella giornata e il salario è davvero basso. E poi Monica non ha abbandonato il suo sogno. Una ex collega le segnala che in Via Guicciardini, in un negozio di scarpe cercano una dipendente. Non ci pensa due volte va a sentire e accetta la proposta di lavoro che le viene offerta. Il 30 settembre del 2019 firma la lettera di dimissioni e la consegna alla famiglia, addolorata anche di lasciarli: “Tre anni sono tanti si stabiliscono anche rapporti emotivi e io mi sono trovata bene”.

Il primo ottobre comincia una nuova vita, di nuovo su la saracinesca, pronta ad accogliere i clienti. Il suo datore di lavoro le racconta una storia lacrimevole: a Firenze il boom del turismo si registra in primavera, l’inverno è stagione morta e quindi gli incassi sono minori, e poi ha in corso una causa di separazione giudiziale e quindi preferisce non compaia la dipendente. Insomma le propone di regolarizzare il contratto con la bella stagione. Monica quel lavoro non lo vuole perdere, si fida e accetta. “Certo sono stata ingenua, è anche mia responsabilità quel che mi è capitato, però ora sono davvero sola e disperata”. Disperata, sì perché dal 9 marzo anche lei, come tutti è a casa, ma senza più lavoro. E senza reddito. Non ha diritto alla cassa integrazione perché non risulta lavorasse e non ha un datore di lavoro che la possa attivare, non ha diritto alla Naspi perché si è dimessa volontariamente. E non ha diritto nemmeno alla sospensione della rata del mutuo, in banca le hanno detto che vale solo per chi è in cassa o ha perso il lavoro a causa di Covid-19 e Monica formalmente il lavoro non l’’ha più dal 1 ottobre, ben prima dell’arrivo del Coronavirus. “È possibile - si domanda la nostra interlocutrice - che il governo abbia dato 600 euro ai notai e probabilmente al mio datore di lavoro e per me non c’è nulla? Io la rata del mutuo di aprile non l’ho potuta pagare, con il salario di mio marito a stento mangiamo in tre. Mi sento davvero sola.”

La prima reazione di Tania Scacchetti, segretaria nazionale della Cgil con delega al mercato del lavoro, è la rabbia. Rabbia nei confronti di un datore di lavoro titolare di un negozio alla moda nel centro di una delle capitali del turismo e del commercio del nostro Paese. Poi la rabbia si estende ai tanti, tantissimi datori di lavoro come lui che sfruttano i dipendenti, truffano lo Stato e fanno concorrenza sleale agli imprenditori onesti. “La prima cosa da fare è ricostruire la cultura della legalità, innanzitutto scovando e colpendo il sommerso, davvero tantissimo e pulviscolare, che esiste. Occorre potenziare e di molto l’attività ispettiva. Oggi è sostanzialmente concentrata in quei settori rischiosi per i lavoratori: edilizia e logistica prevalentemente. Ma in realtà vi è un altissimo tasso di lavoro nero nel terziario, nel turismo, in agricoltura e nel lavoro domestico. E poi è necessario ripensare le sanzioni: devono essere più dure e visibili”. Un’operazione indispensabile, questa, ma costruire cultura della legalità è un percorso assai lungo, Monica ha bisogno di risposte ora. Scacchetti non si sottrae anche se afferma che la strada è stretta perché lei non risulta essere una lavoratrice. “Esistono due provvedimenti che dovrebbe essere contenuti nel Decreto di Aprile in via di approvazione da parte del Consiglio dei Ministri, che potrebbero essere la risposta. La prima il Reddito di cittadinanza, oggi i requisiti richiesti sono tali per cui Monica non può accedervi, ma dovrebbero appunto essere rivisti abbassando la soglia Isee e alzando il valore del patrimonio immobiliare.

La seconda strada sarà il Reddito di emergenza, nella bozza che abbiamo sono quattro i requisiti richiesti: la residenza in Italia, un Isee inferiore ai 15 mila euro, reddito familiare mensile inferiore a 800 euro, patrimonio immobiliare inferiore ai 20mila. Spero davvero che una di queste strade possa aprirsi per Monica, ma mi piacerebbe anche che alla domanda su cosa può ottenere, la risposta fosse: giustizia subito”. La segretaria della Confederazione di Corso d'Italia, però, prosegue la sua riflessione sottolineando che quella della lavoratrice è una situazione impropria che bisogna combattere, denunciando il lavoro irregolare e poi approvando norme generali. La pandemia ha davvero rotto il vaso di Pandora accendendo i riflettori su un fenomeno, il lavoro sommerso e irregolare, diffusissimo e diversificato, non se ne parla quasi mai e questo silenzio in qualche modo lo legittima. Ed una questione che chiama in causa direttamente le imprese, grandi e piccole. E’ arrivato il momento di ragionare su come contrastarlo davvero. “Anni fa – dice ancora Scacchetti – si fece una operazione di contrasto al lavoro nero nel settore tessile applicando temporaneamente contratti di emersione. Occorrere pensarci anche se la questione è davvero delicata e bisognerebbe individuare strumenti vantaggiosi per i lavoratori che si dichiarano e non eccessivamente convenienti per i datori. È appunto una partita complicata ma occorre pensarci subito”.

Sì pensarci subito perché quando l’emergenza sanitaria sarà passata quella economica e del lavoro sarà nel pieno ad allora il rischio che un pezzo dell’economia sprofondi nel baratro dell’illegalità con la sottomissione di chi pur di lavorare accetta di farlo senza contratto è fortissimo. “Monica ha dato voce alle tante e ai tanti come lei che voce non hanno, conclude la sindacalista, a noi spetta di amplificare quella voce, provare a trovare le risposte e così non lasciarli soli”. “Sono davvero colpita e contenta dell’attenzione che la Cgil mi sta dimostrando in questo momento, - ci dice Monica ascoltando i suggerimenti della segretaria - non me l’aspettavo e mi sento un po’ meno sola. Poi aspetterò il nuovo Decreto per capire se una delle due strade  indicate dalla Scacchetti si aprirà per me”.