È sempre tutto da decifrare il futuro di Alitalia. L’accordo sulla cassa integrazione tra compagnia e sindacati slitta ancora di una settimana: l’appuntamento è per venerdì 10 aprile, ma il numero dei lavoratori coinvolti balza a ben 6.828 dipendenti. Il governo ha intanto gettato le basi per la nazionalizzazione, sospendendo gli esiti del bando di vendita chiuso a marzo (che aveva comunque registrato otto manifestazioni di interesse). Nazionalizzazione che - e questa è una novità importante - non sarebbe avversata dalla Commissione europea, come ha lasciato intendere la vicepresidente Vestager. Ma come sarà la nuova Alitalia? Ridimensionata nella flotta, forse anche nel personale e nelle ambizioni: ma il piano industriale per ora non c’è, quindi tutto è ancora possibile.

La nuova proposta di Alitalia della cassa integrazione straordinaria per i prossimi sette mesi coinvolge più della metà dell’intero personale (pari a 11.400 dipendenti). Venerdì 27 marzo la compagnia aerea ha comunicato ai sindacati la richiesta per complessivi 6.828 lavoratori fino al 31 ottobre. Come si arriva a questa cifra? La società intende avviare gli ammortizzatori sociali per altri 2.868 dipendenti (di cui 206 addetti nella sussidiaria regionale CityLiner, finora non toccata dalla misura), che si aggiungono ai 2.785 della richiesta iniziale: a causa dell’emergenza epidemiologica, dunque, i dipendenti coinvolti dalla cassa ammonterebbero a 5.653. A questi vanno ulteriormente sommati i 1.175 già in cigs per cause indipendenti dal coronavirus. Risultato? 6.828 persone, di cui 429 comandanti, 529 piloti, 2.080 assistenti di volo e 2.615 personale di terra.

“I numeri richiesti dall'azienda devono essere strettamente legati all'emergenza Covid-19”, commenta Fabrizio Cuscito, segretario nazionale della Filt Cgil e responsabile del trasporto aereo. “In questo momento l’operatività dell’azienda è messa in forte discussione: Alitalia compie circa 70-80 voli al giorno rispetto ai 600 di prima, quindi una quota bassissima, intorno al 10 per cento”, spiega l’esponente sindacale, rilevando che “ovviamente c’è un contraccolpo dal punto di vista operativo e del lavoro”. Ma deve essere chiaro, avverte Cuscito, che “queste cifre devono riguardare il periodo strettamente legato all'emergenza. È altrettanto chiaro, purtroppo, che oggi non siamo nelle condizioni di poter capire quando l’emergenza terminerà, quindi come ne uscirà il trasporto aereo in generale e l’Alitalia in particolare. Ma nessuno pensi che questi numeri possano essere utilizzati per far partire una nuova Alitalia con pochi lavoratori e senza prospettive di sviluppo”.

Entrando nello specifico tecnico, il nodo resta il mancato pagamento dell’integrazione della cigs degli ultimi mesi del 2019, sul quale da tempo Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl Ta attendono la pubblicazione dei decreti attuativi. Soluzione positiva che però non è arrivata nell'ultimo vertice (in videoconferenza) di venerdì 3 aprile. I sindacati chiedono al ministero del Lavoro di “assumersi le proprie responsabilità, mettendo mano immediatamente ai blocchi di carattere burocratico, per superare gli ostacoli che, ancora oggi, rendono impossibile a 5 mila lavoratori di percepire le integrazioni salariali già a partire dal mese di ottobre 2019”. Filt, Fit, Uiltrasporti e Ugl hanno poi evidenziato che “l’inerzia del sistema in questo momento non è più accettabile e i lavoratori hanno bisogno di risposte subito”, sottolineando la disponibilità di “giungere a un accordo al più presto, perché i dipendenti non possono essere privati dell’integrazione del reddito”.

“Il ministero del Lavoro, a fronte di alcune verifiche degli ispettori sulla modalità applicativa che l’azienda ha fatto della cassa integrazione, non è ancora in grado di dirci se le vecchie cig che abbiamo firmato sia a settembre sia a dicembre possano andare in pagamento”, illustra Cuscito: “Ci troviamo nella condizione per cui le casse firmate per il personale di volo non sono ancora esigibili. E questo perché non ci sono i decreti attuativi”. È bene ricordare, infatti, che per mandare in pagamento le somme relative agli accordi di cassa integrazione, serve il decreto attuativo del ministero. “Queste somme – aggiunge Cuscito ­– sono bloccate perché, a fronte delle verifiche del ministero del Lavoro rispetto alla modalità applicativa della cassa, non c’è stata ancora chiarezza sufficiente, da cui la mancata emanazione dei decreti”.

Il futuro di Alitalia, si diceva all'inizio, è la nazionalizzazione. Il bando di vendita si è chiuso il 18 marzo scorso: una settimana dopo (giovedì 26) il commissario straordinario Giuseppe Leogrande ha inviato agli otto offerenti, mediante l'advisor Rothschild, una lettera in cui comunicava la “sospensione della procedura” (ossia l’eventuale ammissione alla fase successiva, la cosiddetta data room). A motivare lo stop è “l’improvvisa ed eccezionale situazione” determinata dall'emergenza coronavirus, cui il governo ha reagito decretando (come espresso nell'articolo 79 del decreto legge del 17 marzo) la costituzione di una nuova società pubblica cui trasferire, anche in affitto, parte delle attività della compagnia.

Il governo per ora ha soltanto abbozzato la newco che ne assumerà il possesso. La compagnia sarà nelle mani del ministero dell’Economia, ma sono ovviamente possibili l’intervento di soci privati e l’inserimento di Alitalia all'interno di un’alleanza forte. Nel board aziendale troveranno posto anche i rappresentanti dei lavoratori (sull'esempio di Lufthansa, dove nel Comitato di sorveglianza sono presenti i dipendenti). Nell'ultima riunione plenaria sul futuro della compagnia, tenutasi in conferenze call lunedì 23 marzo, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha dichiarato che si partirà con una “flotta ridotta” (attualmente i velivoli sono 113, di cui 41 di proprietà e il restante in leasing, con un’età media di 13 anni), ma il numero non è stato precisato.

Sulla questione nazionalizzazione per oggi (lunedì 6 aprile) era stato convocato un vertice al ministero dello Sviluppo economico, poi annullato perché in concomitanza con il Consiglio dei ministri. “Ci viene detto che il lavoro sta andando avanti, ma non abbiamo novità rispetto al piano industriale o dati più precisi. Per ora sappiamo che l’Alitalia partirebbe con l’operatività attuale, quindi con 25-30 aeroplani, cosa che non condividiamo”, riprende il segretario nazionale della Filt Cgil. Per Cuscito “non si debbono fare i calcoli sull'operatività attuale. La crisi finirà, e una compagnia organizzata su un numero troppo ristretto di velivoli diventa facilmente preda del mercato. La nuova Alitalia deve nascere con un’idea di sviluppo e di aumento dei voli: la flotta, quindi, andrà tarata su esigenze più grandi”.

La vera questione è l’assenza di un piano industriale. “Il governo deve dirci come vuole fare quest’operazione, se in un’unica azienda o se mediante il cosiddetto spezzatino. Deve dirci il perimetro aziendale, i dipendenti coinvolti, quale network organizzare", argomenta il segretario nazionale Filt: "Noi condividiamo la necessità dell’operazione, ma riteniamo che la compagnia debba nascere con molti più aeroplani, proprio per avere quella sostenibilità industriale che gli permetta di stare sul mercato nel momento in cui il mercato ripartirà”.

Sulle prospettive della compagnia, comunque, il governo ostenta ottimismo. Sempre il ministro Patuanelli, in un’intervista ai microfoni di Rai Radio 1 di giovedì 26 marzo, ha dichiarato che una volta terminata l’emergenza sanitaria, Alitalia “partirà al livello delle altre compagnie e potrà crescere”. Tutte le linee aeree, ha fatto notare l’esponente del governo, sono “in grosse difficoltà economiche, tutte stanno chiedendo l’intervento dello Stato. Grandi giganti che, dal punto di vista dello stato patrimoniale, erano impensabili da raggiungere, ora prenderanno il via dallo stesso punto di Alitalia”. Per Patuanelli, dunque, partiamo “da un mercato fermo, ma fermo per tutti”, quindi la compagnia italiana “potrà crescere al pari dimensionalmente delle altre compagnie europee”.

La nazionalizzazione di Alitalia non sembra essere osteggiata dall'Unione Europea. “Sulla proprietà siamo neutri, in situazioni come queste può darsi che uno Stato compri le azioni di una compagnia”, ha commentato venerdì 3 aprile la vicepresidente della Commissione Margrethe Vestager, nonché commissaria alla Concorrenza: se sia un aiuto di Stato o meno “dipende dal modo in cui si fa” l’operazione. “Se è fatta sul mercato, a prezzi di mercato, e in questo momento i prezzi sono bassi, non è un problema”, ha spiegato l’esponente dell’esecutivo comunitario, mentre lo diventa “se è fatta in un altro modo, in questo caso allora potrà nascere un contenzioso ed esserci una notifica individuale”.

A nutrire dubbi sulla nazionalizzazione è però la Banca d’Italia. Nell'analisi delle misure del decreto legge del 17 marzo, in una memoria inviata il 25 marzo alle commissioni Bilancio di Senato e Camera, l’istituto di via Nazionale, dopo aver osservato che “la nazionalizzazione non rientra nel campo di applicazione del divieto di aiuti di Stato”, ricorda che “la crisi di Alitalia, certamente aggravata dal Covid-19, ha radici profonde”. Bankitalia rimarca che “la compagnia si trova da quasi tre anni in amministrazione straordinaria, in questo periodo ha continuato ad accumulare perdite ingenti a fronte di una redditività esigua. La crisi globale del settore potrebbe rendere particolarmente difficoltosa la formulazione di un piano industriale sostenibile”.

La nazionalizzazione, come spiegavamo prima, ha di fatto bloccato la vendita di Alitalia. Ma gli offerenti potrebbero comunque rientrare come soci privati o partner industriali. Per l’acquisto dell’intera compagnia (il cosiddetto “lotto unico”) sono arrivate tre offerte: Almaviva (in cordata con altre imprese dell’information technology), il finanziere e patron della compagnia colombiana Avianca German Efromovich (Synergy Group) e Us Aerospace Partners (che ha già acquisito la fallita Wow Air islandese). Altre tre offerte sono arrivate esclusivamente per l'handling, mentre due solo per la manutenzione.

A voler collaborare con il governo è German Efromovich, patron della linea aerea colombiana Avianca, che con la sua società Synergy Group ha presentato una manifestazione di interesse per l’acquisto della compagnia. Lunedì 30 marzo l’imprenditore di origine boliviana ha voluto illustrare ai sindacati il proprio progetto. “Efromovich si è detto molto interessato a un investimento in Alitalia, chiedendo di avere accesso alla fase successiva, la cosiddetta data room”, spiega Cuscito: “Ha poi aggiunto di essere disponibile a supportare il governo nella gestione della compagnia, dichiarando infine di voler avere l’opportunità di presentare al ministero dello Sviluppo economico, assieme ai sindacati, le sue idee e il suo piano per Alitalia”.

A manifestare interesse per l’intera compagnia è stata anche la Us Aerospace Partners. Il gruppo americano ha reso noto che la sua presidente, Michele Roosevelt Edwards, è stata autorizzata a contrarre linee di finanziamento con un importante istituto statunitense fino a un miliardo e mezzo di dollari. Il gruppo, fondato in Texas nel 2002, conta sei sedi operative negli Stati Uniti d’America ed è presente in cinque Paesi (in Europa in Austria e Islanda). Nel comunicato Usa Aerospace Partners si dice pronta a guidare uno sviluppo “forte e duraturo di Alitalia nello scenario globale” e convinta che “all'interno della compagnia ci siano tutte le competenze necessarie per il rilancio”. Riguardo il progetto, ha comunicato di voler puntare sul “made in Italy” e di volere come hub principale l’aeroporto di Roma Fiumicino.