L'Italia che sta combattendo l'epidemia di Covid-19 è il Paese "con un grande senso civico ammirato nel mondo", come ha detto il presidente Mattarella. Quello in cui i cittadini, tra mille difficoltà, resistono alla tragedia collettiva restando chiusi in casa e sostenendo la perdita di parenti e amici, al Nord ma non solo. A perdere la vita anche tanti lavoratori, come Andrea Cuomo, 50 anni, addetto del settore manutenzioni di Engie, e Massimo Dominici, anche lui cinquantenne, commerciale della Rcs Thales Italia, morti a causa del Covid-19. Ne dà notizia Roberta Turi, segretaria generale Fiom Milano. Dall'altra parte però è anche il Paese delle deroghe. Dopo l'ultimo decreto del governo, sempre più aziende in tutte le regioni si rivolgono ai prefetti per riprendere l'attività produttiva. Le imprese chiedono il permesso di far tornare le persone al lavoro  - non in smart working, ma proprio nelle fabbriche - appunto "in deroga" al decreto del 25 marzo che stabiliva la cosiddetta "chiusura totale".

Si tratta soprattutto di operai, naturalmente, ma molte categorie sono investite da questa tendenza in modo trasversale. Il requisito per la deroga dovrebbe essere il carattere essenziale di una determinata produzione, di cui non si può fare a meno: ma, solo un esempio, oggi è così essenziale costruire un elicottero? Eppure migliaia e migliaia di imprese fanno richiesta ogni giorno, tanto che il numero complessivo è in continua evoluzione. I prefetti tenderanno a concedere molte deroghe, e comunque in attesa del vaglio delle domande si resta al lavoro. Com'è possibile? Ci risponde fuori dai denti un Rsu dallo stabilimento di un importante gruppo italiano che resta aperto: "I prefetti mica sono esperti di lavoro, dicono sì a tutti".

Boom di richieste proprio in Lombardia

Noi allora siamo andati a vedere cosa succede nelle regioni: abbiamo studiato le deroghe, parlato con le persone che ancora lavorano, riportato le loro voci. Il quadro che emerge non è confortante. Ci sono storie virtuose, in cui gli addetti e l'azienda concordano insieme i passi da fare, insieme a realtà più problematiche, che richiamano alla responsabilità di una classe imprenditoriale non sempre irreprensibile. Così in Lombardia le deroghe sembrano essere la normalità: solo a Bergamo ci sono 1.800 richieste, un numero che fa impressione perché arriva proprio dalla città più colpita. Eppure le aziende non vogliono chiudere. Brescia lo supera: le richieste sul tavolo del prefetto sono 2.980, come riportano i dati sul Fatto Quotidiano. C'è chi rispetta i lavoratori e chi invece non lo fa: raccontiamo i casi di Mantova e Lecco.

In Veneto sono quasi 12.000 le aziende che hanno chiesto di andare avanti. Le prefetture risultano sommerse dalle comunicazioni, ma nel frattempo le produzioni non si fermano. Tra le tante realtà c'è il caso della Evco. Azienda fiore all'occhiello dell'innovazione, produce sistemi elettronici di controllo per la temperatura di frigoriferi e forni industriali: il suo prodotto di punta è un tablet che controlla i dispositivi da remoto. A proposito della deroga, il sindacato fa notare: "È vero che costruiamo qualche strumento di controllo per l'agroalimentare (che è una produzione essenziale, ndr), ma parliamo di poche decine di pezzi, basterebbero quattro persone nel reparto per ottemperare a queste richieste e invece la fabbrica va a pieno regime” (leggi tutto).

In Emilia-Romagna oltre 10.000 domande

Anche in Emilia-Romagna si registra un boom delle richieste: sono oltre 10.000. Le motivazioni sono varie, i settori diversi, le informazioni fornite non sempre complete. L’unico dato che accomuna tutte le situazioni riguarda i numeri e i tempi delle deroghe richieste dalle aziende che cominciano a scalpitare e che cercano di “portarsi avanti con il lavoro”. Tra le molte preoccupazioni, il timore della Cgil è che il protocollo sulla sicurezza firmato da governo e parti sociali possa diventare carta straccia (leggi tutto).

In Toscana le domande sono 7.000. Questo il conteggio, ancora non definitivo, fornito dalle Camere del Lavoro in tutta la regione. Molte aziende sostengono che la loro produzione sia - tutta o in parte - collegata a settori essenziali, insomma si "autocertificano". Sulla questione interviene direttamente il segretario generale della Cgil regionale, Dalida Angelini: "Sono troppe le aziende che fanno finta di non capire che il virus si combatte riducendo le occasioni di contatto al limite del possibile". E ancora: "Sono troppi gli imprenditori che, per non perdere un vantaggio competitivo, passano sopra alla sicurezza dei lavoratori, dei familiari e di tutti, loro compresi". La Cgil ha messo a disposizione delle prefetture la propria conoscenza dei settori, per aiutare a capire se le ragioni delle imprese "sono oggettive o, al contrario, sono solo un modo per aggirare il blocco".

I sindacati in Toscana e Lazio: “Non fate i furbi”

Una valanga di richieste è arrivata in Friuli Venezia Giulia. Secondo Il Piccolo, sono quasi 2.500 le domande di deroga alla chiusura sui tavoli dei quattro prefetti provinciali. A Trieste i fascicoli sono 326, a Gorizia circa un centinaio. I sindacati territoriali faranno sentire la loro voce: analizzeranno le carte messe a disposizione dalle prefetture per dare una valutazione sulla regolarità del percorso. Anche nel Lazio si stanno moltiplicando le richieste. Per questo Cgil, Cisl e Uil hanno lanciato un appello comune: "Siamo in contatto con i prefetti per segnalare le situazioni illegittime. Questo non è il momento delle furbizie".

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