Nella notte, dopo una lunga trattativa in video conferenza, è stato concluso l’accordo tra governo, parti sociali e datoriali, Abi per l’anticipo degli assegni di cassa integrazione da parte della banche. Una buona notizia che si iscrive negli sforzi che si stanno compiendo per assicurare a ciascun lavoratore e lavoratrici sostegno al reddito. Ne parliamo con Tania Scacchetti, segretaria nazionale della Cgil.

Individuare ogni strumento possibile per fare in modo che il sostegno al reddito arrivi subito nelle tasche dei lavoratori rimasti scoperti a causa del virus. È questo il senso di quanto siglato nella notte?

Innanzitutto è un buon accordo che ricalca un modello che avevamo già sperimentato con Confindustria e Abi nel 2009 quando venne introdotta la cassa integrazione in deroga, poi rinnovato negli anni in particolare per la cassa straordinaria. Saranno milioni i lavoratori in cassa integrazione Covid-19 e aspettare l’autorizzazione Inps e l’erogazione degli assegni da parte dell’Istituto comporterebbe un’assenza di reddito per un tempo insostenibile, quindi è un accordo importantissimo. Le banche potranno anticipare soprattutto per i dipendenti a zero ore ma anche per chi dovesse avere un trattamento parziale, fino ad un massimo di 1400 euro, l’ammontare dell’assegno sia della cig del Fis (Fondo integrazione salariale, ndr).

Sostegno al reddito subito per dar fiato ai lavoratori e alle lavoratrici e sostenere almeno alcune filiere dell’economia e dei consumi interni, quelli legati ai beni di prima necessità...

In questo momento è reale il rischio che all’interno di una famiglia tutti i componenti adulti si trovino in difficoltà lavorativa, dalla cassa alla disoccupazione. E ricordo che l’assegno di cig è decurtato del 20 percento rispetto al salario reale, quindi esiste un problema di impoverimento di intere fasce sociali, l’accordo di questa notte – procedure e modulistiche ne sono parte integrante proprio per semplificare e accelerare il più possibile le domande e l’erogazione – è importante perché risponde alla necessità di ridurre il più possibile la difficoltà che lavoratori e lavoratrici affrontano. Sottolineo un altro aspetto importante, a mio giudizio, di quanto siglato con Abi, la clausola n. 7. Sarà ulteriormente approfondita in particolare con il ministero del Lavoro e con il Mise, ma l’impegno è quello di garantire maggiore liquidità anche al sistema delle impresse che possono anche loro anticipare i trattamenti di ammortizzatore sociale. In sostanza occorre far in modo che il numero maggiore possibile di imprese possa anticipare direttamente gli assegni per i propri dipendenti, così da consentire all’Inps di svolgere senza affanno il disbrigo di tutte le pratiche. Insomma, un accordo per diversi strumenti con un unico obiettivo: garantire a tutti di ricevere il sostegno al reddito rapidamente.

L’accordo di questa notte individua le modalità di pagamento degli ammortizzatori messi in campo con il Decreto Cura Italia. Estensione della Cassa integrazione a tutte le aziende anche sotto i 5 dipendenti...

Se si leggesse con attenzione il Cura Italia spogliandosi di occhiali ideologici, ci si renderebbe conto che in Italia esiste la necessità di lavorare ad un sistema realmente universalistico. Oggi non è così tant’è che le misure a tutela del reddito dei lavoratori dipendenti sono molteplici. Con il Decreto sono state introdotte migliori condizioni per le aziende che già accedono alla cassa ordinaria o ai fondi di solidarietà bilaterali o al Fis, la cassa in deroga Covid-19 consente procedure molto più semplici e rapide, vengono tolti i tetti di utilizzo, sterilizzati i periodi, non servono le giornate di anzianità. Così anche per gli addetti delle aziende che già accedono agli ammortizzatori sarà più semplice accedere alle misure tradizionali misure tradizionali. È poi previsto uno stanziamento importante, ma sappiamo già essere sottodimensionato rispetto all’entità del problema, di 3,5 miliardi per la cassa ai lavoratori delle imprese sotto i 5 addetti. Una misura rilevante che secondo noi andrà implementata per entità di risorse nel decreto di aprile. Il provvedimento di cui stiamo parlando introduce anche una misura che guarda al vasto mondo del lavoro non subordinato: autonomi, collaboratori, partite iva ma anche i professionisti iscritti alla gestione ordinaria come titolari di negozi ecc., è uno strumento importante perché risponde all’obbiettivo di provare a dare qualcosa a tutti, che però non è né particolarmente equa né particolarmente proporzionale, garantisce poco – 600 euro per il mese di marzo vedremo cosà si predisporrà per aprile – a tutti senza guardare alle reali condizioni delle persone.

E poi ci sono gli esclusi, penso soprattutto a due tipi di lavoratori e lavoratrici, i riders e il lavoro domestico. Come risolvere questo vulnus?

Sono due dei buchi più evidenti del Decreto ma soprattutto della volontà che il governo ha manifestato di voler dare risposta a tutti. Non aver previsto alcun sostegno al lavoro che in gran parte donne svolgono all’interno delle nostre case mi pare indegno. È colpita una popolazione tendenzialmente molto fragile, che lavora in solitudine, essenziale però per la tenuta del nostro sistema di welfare. Abbiamo chiesto che questo vulnus venga corretto in sede di conversione parlamentare del testo. Altrettanto abbiamo chiesto per tutte le figure di lavoratori autonomi occasionali che avendo un reddito fino a 5000 euro non sono soggetti a nessun versamento previdenziale, il caso più eclatante è quello dei riders ma esistono centinaia di migliaia di ragazzi che svolgono attività di questa natura e allo stato non avranno nessun sostegno. Esiste in realtà un articolo del provvedimento che istituisce una sorta di reddito di ultima istanza che guarda in particolare alla platea di professionisti iscritti alle casse private per i quali è già stato disposto un Decreto ad hoc che potrebbe essere esteso a tutti. In sostanza, però, la parcellizzazione del nostro mondo del lavoro rende evidente come sia difficile selezionare misura per misura rispetto ai singoli beneficiari perché si rischia di non comprendere categorie significative di lavoratori. Per questo la parola chiave del futuro dovrà essere universalità, del sistema sanitario, del welfare, degli ammortizzatori sociali.

Con il Cura Italia sono stati previsti strumenti di sostegno al reddito anche per i lavoratori stagionali agricoli e non solo...

La loro introduzione è un riconoscimento importante e non scontato della peculiarità e del valore di questi lavori, per altro guarda a platee dai numeri significati attorno ai 600 mila per l’agricoltura, 400 mila per il turismo, ad esempio, e quello che si riconosce è il mancato lavoro, quello che non ci sarà non quello che si interrompe. Pensiamo che il contributo debba essere esteso anche ad altre categorie di stagionali ma, soprattutto riteniamo che per il 2021 vada per loro rafforzato lo strumento della Naspi. Abbiamo, però una preoccupazione, il lavoro a tempo determinato che coinvolge 2 milioni di uomini e donne. La maggior parte rischia di essere lasciata a casa o di non veder rinnovato il contratto, il Decreto Dignità giustamente introdusse tetti e causali, la situazione oggi è tale che occorre intervenire anche in questo settore. 

Rimaniamo in agricoltura. Dagli imprenditori di questo settore arriva un grido di allarme, mancano tra 200 e 300 mila lavoratori migranti per le campagne di raccolta primaverile ed estiva. Ci troviamo di fronte ad una contraddizione: manca il lavoro e contemporaneamente manca manodopera nei campi. Gli imprenditori chiedono la reintroduzione dei voucher o di poter disporre di chi percepisce il reddito di cittadinanza o la cassa integrazione. Come se ne esce?

Quelle proposte sono proprio sbagliate. Tutto possiamo permetterci tranne che riproporre la ricetta stantia del lavoro non retribuito e non riconosciuto come tale. Innanzitutto bisognerebbe provvedere alla regolarizzazione dei migranti che sono sul nostro territorio e che in virtù di leggi sbagliate e pericolose sull’immigrazioni, sono clandestini (riguarda anche moltissime badanti) e rimangono quindi intrappolati nel lavoro nero e nella ricattabilità. Poi, se c’è la necessità di far lavorare persone nella filiera dell’agroalimentare si assumano. L’agricoltura è regolata da una notevole quantità di tipologie contrattuali, anche giornaliere, non si capisce perché far lavorare i cassintegrati o i percettori del Reddito di cittadinanza. Si guardi al vasto mondo dei disoccupati e si assuma con contratti regolari, con salario dignitoso e diritti. Abbiamo passato quasi 20 anni a impoverire e precarizzare il nostro mercato del lavoro pensando che quella fosse l’unica ricetta per competere, era sbagliato negli ultimi dieci anni a maggior ragione lo è oggi. L’unico modo per ripartire, speriamo il prima possibile, è scommettere sul lavoro e sul lavoro di qualità.

Esiste una questione delicata, ne ha accennato il ministro Provenzano qualche giorno fa, una parte consistente dell’economia del nostro Paese, soprattutto al Sud ma non solo, si fonda sul lavoro sommerso, i lavoratori nella stragrande maggioranza dei casi sono vittime di questo sistema e oggi sono totalmente scoperti: devono stare a casa e quindi non lavorano e non esistono ammortizzatori sociali da attivare. Che fare?

Un pezzo del nostro sistema imprenditoriale porta una grande responsabilità: dove c’è un lavoratore non regolare c’è un impressa che approfitta e fa profitto di quella irregolarità, di quella riduzione di costi e della ricattabilità di quelle persone. Occorre partire dal mettere in chiaro quel lavoro, da far emergere il sommerso. Ovviamente esiste una questione immediata che è il sostegno di queste persone, il reddito di ultima istanza di cui si parla dovrebbe servire anche a questo. Insisto, però, il punto di partenza non può essere un ammortizzatore per i lavoratori in nero ma la loro regolarizzazione. Legalità, diritti e giustizia sociale. Questa la strada per uscire dall’emergenza e far ripartire il Paese.