I dati sul mercato del lavoro relativi al IV° trim. 2019, indicano tendenze che già inglobavano la stagnazione in atto nel II° semestre e che avremmo commentato, sulla base delle negative rilevazioni di Dicembre 2019 e Gennaio 2020, in modo preoccupato.  Ora naturalmente, pur trattandosi di dati reali per quell’epoca, sono indicazioni del tutto irrealistiche rispetto al futuro per gli effetti della pandemia in atto e delle sue ripercussioni, anzitutto sulla salute, ma anche sull’economia e sull’occupazione. Il commento dei dati del IV° trim. deve tener conto di queste considerazioni. 

Il 2019, si chiude con un aumento di posti di lavoro (+207 mila nell’anno) ma già diviso in due fasi.  Nel II° semestre infatti, è già evidente il rallentamento legato alla fase di stagnazione, che aumenta negli ultimi mesi (dicembre negativo in tutti i parametri). Una ulteriore conferma deriva dal fatto che, sempre nel IV° trim. 2019, torna a calare il numero di ore lavorate (-0,3%) che, nel trimestre precedente, non avevano recuperato quelle del 2008. 

Il tasso di occupazione (59,2%) resta decisamente più basso rispetto alla media europea e nel mese di gennaio 2020 è ulteriormente calato. È particolarmente significativo in questo quadro, che l’incidenza dei dipendenti a termine, continui a salire (17,2%). Un dato negativo in sé, che occorrerà tenere in grande attenzione nei prossimi mesi perché è bene ricordare che i primi lavoratori colpiti durante la crisi del 2008, furono quelli a tempo determinato e che oggi il loro numero è sensibilmente più alto di allora (stabilmente nel 2019 sopra i 3 milioni). 

Continua contestualmente a crescere il part time che raggiunge il numero totale di 4 milioni 497 mila unità, di cui ben 2 milioni 874 mila involontari (il 63,9% del totale). I part time, sono massicciamente concentrati nel lavoro dipendente (3 milioni 725 mila pari all’82,8%) e di questi, quasi 1 milione sono contemporaneamente lavoratori a termine.  È bene precisare che, questi numeri segnalano un forte disagio lavorativo già presente nel mondo del lavoro dipendente che, come i dati economici confermano, è legato sostanzialmente al fatto che molte imprese hanno, anche nel corso dell’ultimo anno, scelto la competizione di costo (del costo del lavoro) piuttosto che quella dell’innovazione e della qualità del prodotto. 

Il tasso di disoccupazione, pur in diminuzione, resta molto più alto rispetto all’ Europa e, in modo preoccupante, sempre vicino alla soglia del 10%. Calano invece meno gli inattivi (circa 34% in totale) e di questi, 2 milioni 759 mila sono forze di lavoro potenziali, cioè persone con caratteristiche molto simili a quelle del disoccupato, dimostrando quanto ampio sia il bacino dell’effettiva disoccupazione italiana. 

Per quanto riguarda alcune differenze da evidenziare: il tasso di occupazione medio del 59,2% crolla nel Mezzogiorno al 45,1% e rimane per le donne al 50%; per classi di età continua la crescita degli over 50 che arrivano a 61,2%; è sostanzialmente identico il tasso di occupazione tra italiani e stranieri, il tasso di occupazione per titolo di studio è 44,4% fino a licenza media, 64,9% diploma, 79,1% laurea. 

Ecco perché, già sulla base di questi dati, sarebbero stati necessari forti interventi a favore dello sviluppo e dell’occupazione. Adesso, la priorità dopo gli interventi relativi alla tutela della salute, è quella sugli ammortizzatori sociali per non perdere grandi quantità di lavoro, e di scelte a tutti i livelli, per rilanciare lo sviluppo e le condizioni di vita delle persone. Interventi immediati in ottica di emergenza, contestuali a scelte di programmazione economica e produttiva, a partire da una straordinaria dose di investimenti che, per essere efficaci nell’anno in corso, devono essere decisi con immediatezza.

Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio