Giudici ridotti a semplici notai, licenziamenti “facilitati”, tutele solo per il mondo imprenditoriale. È quanto accadrebbe nei contenziosi sul lavoro se dovessero entrare in vigore i due disegni di legge presentati in Parlamento dal governo, il 1441-bis e il 1441-quater. L’iter dei provvedimenti (ora in discussione alla Camera) non è ancora concluso, ma giuslavoristi e magistrati esprimono preoccupazione per lo scenario che potrebbe aprirsi. Se infatti la Commissione della Camera ha apportato alcune migliorie, nell’impianto complessivo resta lo svuotamento dei diritti per i dipendenti. È questo l’allarme lanciato dalla Rivista giuridica del lavoro e dalla Consulta giuridica della Cgil, che oggi (21 ottobre) hanno riunito i massimi esperti italiani della materia nella sede nazionale del Cnel, a Roma.


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Giudici come notai? Rispetto alle cause giudiziarie sui licenziamenti, il ddl 1441 (scaricalo qui) riduce il potere decisionale del giudice al solo “accertamento del presupposto di legittimità”, escludendo di fatto ogni controllo di merito. Scrive la Rgl in un documento firmato da Pergiovanni Alleva, Amos Andreoni e Lorenzo Fassina: “Restano aperti i rischi di una funzione puramente notarile della magistratura, la cui autonomia e indipendenza sarebbero drasticamente ridotte”. In sostanza, spiegano gli esperti, “il contratto nazionale diventerebbe vincolante anche per il giudice”, il quale oltretutto, con l’entrata in vigore di questa norma, “sarà anche vincolato a quanto stabilito dal contratto individuale di lavoro. Una norma apertamente incostituzionale, che sarà fonte di serie conseguenze sulla tenuta dell’ordinamento intersindacale”.

“Mancano tutti gli strumenti per difendere i diritti dei lavoratori”
, accusa Raffaele Foglia, magistrato e presidente della Commissione ministeriale sulla normativa processuale del lavoro nel precedente governo, intervistato da rassegna.it a margine del seminario: “Quando si dice che il giudice non può sindacare le ragioni vere del licenziamento, perché costretto a fermarsi davanti ad aspetti formali, si blocca ogni intervento di controllo, cancellando garanzie essenziali che sono vigore da oltre trent’anni”.

L’altro motivo di protesta dei giuslavoristi consiste nella “minaccia” dell’arbitrato obbligatorio. Stando a quanto prevede il ddl 1441 infatti, d’ora in poi il lavoratore potrà essere costretto, se vuole essere assunto, a firmare un contratto che esclude la competenza del giudice e che rimanda il contenzioso a un arbitrato privato tra le parti (nel quale si potrà decidere a prescindere da leggi e ccnl). Proseguono i promotori dell’iniziativa: “Ciò significa che il lavoratore potrà essere posto di fronte all’alternativa se essere assunto o meno, a condizione di accettare o no l’arbitrato, e quindi finisca per accettarlo, rinunciando sin dall’inizio alla possibilità di ricorrere a un giudice del lavoro”. Per Massimo Roccella, giuslavorista e ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Torino, “è questa un’idea molto pericolosa, si tratta di minacce all’intero sistema dei diritti dei lavoratori”. In definitiva, se l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori non è abrogato, di fatto viene rimesso in discussione attraverso “scorciatoie”. Come quella che sostituisce la reintegrazione sul posto di lavoro con un risarcimento danni, con buona pace della stabilità e dell’articolo 4 della Costituzione.

“C’è un disegno del governo contro il lavoro dipendente”, ha detto il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, che ha concluso il seminario: “Si è partiti dallo scorso luglio con l’inizio della deregolamentazione, si è passati per norme che licenziano i precari pubblici e privati, proseguendo con l’intervento sul diritto di sciopero. Ora tocca ai processo del lavoro”. Così conclude il dirigente sindacale: “Il fatto grave è che, riguardo alle controversie sul licenziamento, si limita l’intervento del giudice da un potere d’intervento nel merito a un semplice parere di legittimità formale. Questo, abbinato alla certificazione individuale dei contratti, non fa altro che penalizzare il lavoratore dipendente in una logica che privilegia l’impresa”.